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03.10.07

lavoro repubblica "G8, una guerra tra bande che ha devastato la città"

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"G8, una guerra tra bande che ha devastato la città"
La parola ai pm sulle "violenze di strada"

Solo venticinque imputati per i fatti più documentati della storia: cinquecento violenti italiani e duecento stranieri nei verbali
Incominciata la durissima requisitoria di Canepa e Canciani che denunciano i due volti della violenza tra polizia e black block
I giudici dovranno delimitare l´oggetto del processo, concentrandosi sui fatti "specifici"
Le due parti contrapposte non hanno fatto altro che negare o raccontare la propria verità
MASSIMO CALANDRI


L´AUSPICIO dei magistrati genovesi è che per i fatti del G8 si possa arrivare «almeno» alla verità giudiziaria. Per l´altra Verità, quella con l´iniziale maiuscola, non ci sono speranze: sei anni dopo attendiamo inutilmente l´assunzione di responsabilità dai protagonisti di quei giorni, dicono. Ma nessuno vuole confessare di essere a modo suo colpevole. Non le frange più violente ed ambigue del cosiddetto Movimento. Neppure - e questo, per certi versi, è ancora più grave - l´autorità di Governo. In quei giorni di luglio ci furono eccessi ingiustificati da entrambe le parti. Trascorso tutto questo tempo, l´arroccarsi cocciuto sulle proprie posizioni e la mancanza di dialogo fa quasi pensare ad una «guerra tra bande». Ieri mattina nel corso del processo per la devastazione ed il saccheggio di Genova - imputate 25 presunte Tute Nere italiane - ha preso la parola il pubblico ministero Anna Canepa, che anche a nome del collega Andrea Canciani ha dato il via alla requisitoria. Usando parole forti ed amare. Ricordando le ferite non ancora rimarginate della città, ricostruendo quelle sciagurate giornate. E spiegando che loro, i giudici, dovranno delimitare l´oggetto del processo: concentrandosi su quei fatti specifici, e basta. Saranno altri a spiegare perché è successo tutto questo. «Ma ci vorrà un´autocritica, una seria riflessione, una assunzione consapevole di responsabilità. Che deve essere fatta altrove, non in questa sede».
Canepa e Canciani nel corso delle prossime udienze formalizzeranno meglio le loro accuse, poi sarà il turno delle parti civili, delle difese, quindi toccherà alle controrepliche. Ci sono buone probabilità che il processo possa chiudersi presto e andare a sentenza entro la fine dell´anno. Diciamo intorno a Natale. «Finalmente», ha sottolineato il pm. Ricordando le difficoltà incontrate dal 2 marzo del 2004, data di inizio del processo: 120 udienze, 197 testimoni interrogati, migliaia di fotogrammi e chilometri di nastri visionati, ma soprattutto un confronto che spesso e volentieri si è spostato su temi ed episodi non legati al procedimento in senso stretto. Quasi quattro anni difficili anche per via degli «approcci ideologici» delle parti: «Per un verso sono state minimizzate o addirittura negate le violenze preordinate da una parte dei manifestanti, il senso profondo di pericolo e di precarietà vissuto dagli abitanti della città. Sono state negate le devastazioni accadute e causate da una parte minoritaria di manifestanti estremisti e violenti, venuti apposta per devastare». E per l´altro verso, inasprendo le contrapposizioni, sono state negate «o addirittura giustificate le inammissibili violenze commesse dalle forze dell´ordine nei confronti di manifestanti inermi o pacifici, o presso la scuola Diaz, o le ancora più inaccettabili violenze accadute a Bolzaneto e perpetrate su prigionieri inermi».
Le due parti contrapposte, le due bande in guerra, non hanno fatto altro che negare o raccontare la loro verità (in questo caso con l´iniziale minuscola, non c´è dubbio): come se un fatto non escludesse l´altro, o - peggio - «come se gli uni trovassero giustificazione negli altri: ribollendo in un calderone che è la negazione della presa di coscienza e della responsabilità». Ma questa volta nel procedimento si è potuto contare su altro, che non le testimonianze. Sui filmati e le fotografie dei tanti giornalisti, sulle riprese delle telecamere fisse del traffico, sui nastri che registravano gli interventi via-radio delle forze dell´ordine o le telefonate con richieste di aiuto dei genovesi. «E´ stato uno degli eventi mediaticamente più rappresentati nella storia. Foto, video, libri. C´era anche una televisione locale che riprendeva in diretta l´evento». E´ grazie a questo materiale che, i pubblici ministeri ritengono di poter fare chiarezza: evitando però strumentalizzazioni «per chiedere inchieste parlamentari», perché non hanno nulla a che vedere con questo giudizio. Qui ci sono 25 imputati per devastazione e saccheggio: «Pochissimi rispetto alla moltitudine coinvolta negli scontri. C´erano circa duecento stranieri del cosiddetto Black Bloc, e cinquecento italiani appartenenti all´area anarchica». Anna Canepa non poteva prescindere da una ricostruzione cronologica dei fatti: partendo dal vertice voluto da massimo D´Alema e poi passato alla gestione del nuovo governo Berlusconi, dalla ordinanza prefettizia che istituiva la famigerata Zona Rossa all´informativa del Ministero degli Interni sul Blocco Nero. Dal pacifico corte dei Migranti del giovedì pomeriggio a quella mattina di venerdì, 20 luglio 2001: cominciò tutto in piazza Paolo Da Novi
-------------"Le polizie estere non hanno aiutato"
i pubblici ministeri

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