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15.02.09

Repubblica Genova Quel filo che lega agenti drogati e violenti del G8


Repubblica Genova

Quel filo che lega agenti drogati e violenti del G8
VITTORIO COLETTI
TRA i poliziotti drogati e spacciatori di oggi e la polizia del G8 uscita
semiassolta dalla discussa sentenza del tribunale di Genova c´è qualche
rapporto? A me pare di sì, e assai chiaro. Coloro che hanno criticato la
sentenza che ha negato la documentabilità giuridica di un preordinato
piano eversivo da parte dei dirigenti delle Forze dell´ordine, in fondo,
amano credere che la polizia si sia comportata male nei giorni del G8 per
colpa di capi perfidi e deviati. Se non ci fossero stati politici neri e
alti dirigenti iniqui, sostengono, certe cose non sarebbero successe. Chi
la pensa così, in realtà cerca una consolazione e non vuole prendere atto
che, purtroppo, nel nostro paese la cultura democratica e politica delle
forze dell´ordine è tornata a essere così bassa e precaria com´era negli
anni Cinquanta ed è anche peggiorata negli ultimi tempi. Se ci fossero
stati dei diabolici ufficiali, dei malvagi politici dietro l´inettitudine
dei poliziotti contro i facinorosi e la loro violenza contro gli inermi,
tutto sarebbe stato più semplice e accettabile e, a pensarci bene, meno
preoccupante. Si sarebbe potuto usare l´immagine delle mele marce
adoperata non a caso anche per gli agenti spacciatori e violenti. Invece,
purtroppo, non è così. Chi ci ha riflettuto sul nostro giornale, in questi
giorni, lo ha ben notato. Non è questione di casi sporadici o atti voluti
da pochi cattivi, ma di un comportamento diffuso nelle forze dell´ordine
italiane per le quali il berlusconismo e lo sdoganamento del fascismo non
sono passati invano. Almeno dal 2001 la (in) cultura della violenza, della
forza fisica, dell´odio contro i "civili" è tornata a far parte (se mai se
ne era andata) dell´humus in cui crescono i ragazzi che entrano e si
formano in polizia. I modelli che la società stessa propone loro non sono
di rispetto civile e democratico, ma di aggressività contro i devianti di
qualsiasi genere e gravità . Perfino certe nuove divise da Rambo lo
proclamano con tutta evidenza. Sarebbe bastato vedere, una di queste sere,
come si avventavano, esagitati e eccessivi, alcuni vigili urbani in via
Garibaldi contro un ragazzo, certo colpevole di qualcosa e da catturare,
ma strattonato con troppo plateale determinazione, per rendersi conto che
la gente in armi respira un´aria di brutalità e di imposizione fisica che
non può più essere attribuita a questo o a quel gruppo o a qualche
dirigente o a quella situazione eccezionale, ma è endemica e
caratteristica.
È la cultura dell´Italia berlusconiana in cui la polizia è tornata a fare
da gendarme al potere, di chiunque ne abbia uno contro chi non ne ha o ne
ha uno minore: guardie del corpo dei politici potenti contro la gente
qualsiasi, tutori della gente qualsiasi contro tutti gli altri, gli
sbandati o anche solo i diversi, gli estranei, gli immigrati, i poveri, i
sospetti. La polizia che ha picchiato i dimostranti innocui del G8 è la
stessa in cui oggi crescono agenti dediti al consumo e allo spaccio di
droga e speriamo non ad altro: una polizia che conosce la sola legge della
forza, si ritiene esente dalla legalità e protegge non i deboli ma i forti.
Che cosa pretendiamo dai poliziotti? Se chi ha il potere è sopra la legge,
anche la divisa è un potere che consente di evadere la legge. La polizia è
democratica e legalitaria dove prevalgono democrazia e legalità . Dove
queste cominciano a vacillare o ad essere messe in discussione, le forze
dell´ordine sono le prime a risentirne, anche per il livello socialmente
basso e culturalmente povero da cui spesso vengono i suoi uomini. A questi
giovani oggi viene proposto un modello di uomo vincente e forte,
aggressivo, di uso violento del potere perfino nelle aule del Parlamento;
ogni giorno apprendono che chi ha il potere (dei numeri, della ricchezza,
della forza...) deve usarlo senza pietà , anzi, come ha detto il ministro
degli Interni, con cattiveria. Come ci si può allora stupire di certi
comportamenti?
Per questo è sbagliato parlare di mele marce, e l´unica consolazione è
che, nonostante tutto, ci sono tante mele sane nelle forze dell´ordine,
uomini rispettosi degli altri e generosi verso il prossimo, che si sentono
o si mettono al servizio della gente. Ma lo sono, come dire, a titolo
individuale, per cultura propria, per indole e sensibilità privata e non
per spirito e senso di corpo, per la consapevolezza del valore civico
della divisa che portano, che è invece, nell´insieme delle varie armi,
sempre più simbolo di forza e immagine di spregiudicatezza nel suo impiego.
Chi si illude che in Italia si sia davanti solo a una "normale" alternanza
di forze di simile e compatibile cultura democratica e sociale, può trarre
anche da questi episodi, in ambiti delicatissimi come quello delle Forze
dell´ordine, proficui motivi di riflessione.

In procura gli agenti cocainomani una "pista" porta alle discoteche
Si depila per dribblare i controlli: scatta l´accusa di truffa
Domani arrivano in questura gli ispettori inviati dal capo della polizia
MARCO PREVE
La sfilata dei poliziotti cocainomani inizierà in procura questa
settimana. Si tratta della dozzina di agenti di età compresa tra i 22 e i
30 anni, rimasti "impigliati" nelle intercettazioni dell´inchiesta che ha
portato in carcere due loro colleghi accusati di spaccio Stefano Picasso e
Morgan Mele.
Il gruppo di colleghi è quello che consumava assieme a loro la coca in
festini organizzati nelle abitazioni e che da Picasso e Mele, ma anche dal
pusher Luca Schenone, anche lui finito in manette, avrebbe acquistato dosi
di stupefacente.
Da quando la notizia è stata resa pubblica il Viminale ha chiesto alla
procura di Genova di poter conoscere ufficialmente i nomi degli altri
agenti coinvolti. Ma il procuratore capo Francesco Lalla e il pm titolare
del fascicolo Vittorio Ranieri Miniati non hanno ancora potuto comunicarli
sia per le ultime esigenze investigative che per questioni procedurali.
Ma una volta effettuati gli interrogatori la "black list" sarà a
disposizione del ministero dell´Interno e del capo della polizia Antonio
Manganelli. Logico supporre che per il gruppetto di cocainomani in divisa
il futuro non riservi nulla di buono. oltre alla segnalazione alla
prefettura come assuntori di sostanze stupefacenti scatteranno
provvedimenti disciplinari interni al corpo e non è escluso che
Manganelli, per dare un segnale decida addirittura per il licenziamento. E
domani arrivano in questura a Genova proprio gli ispettori mandati dal
capo della polizia per capire se questa vicenda sia episodica o manifesti
un malessere assai più diffuso. In realtà , tra i poliziotti genovesi, c´è
chi aveva atteso gli ispettori già all´indomani di una delle inchieste
forse più clamorose a livello nazionale, quella che ha portato alla
condanna a otto anni di carcere di due ispettori della narcotici diventati
trafficanti di decine di chili di coca. Uno di loro, Andrea Percudani,
agli arresti domiciliari a Prato Nevoso, in attesa della sentenza
definitiva, ha ottenuto dalla Corte d´Appello il permesso per lavorare in
un negozio di attacchi e scarponi da sci.
In attesa di conoscere il destino degli agenti cocainomani e le
conclusioni degli ispettori ministeriali sulla gestione del personale
all´interno della questura di Genova (ma sono coinvolte anche altre
questure, quelle di Lodi e di Asti in cui lavorano i due arrestati e altre
tre sedi del nord Italia in cui prestano servizi agenti inguaiati da
intercettazioni), l´inchiesta della procura e del nucleo di investigatori
della polizia giudiziaria presso il tribunale, potrebbe incamminarsi lungo
un´altra strada. Quella dei locali notturni delle riviere, di ponente e di
levante. C´è più di un indizio che fa sospettare agli inquirenti di
intrecci opachi tra agenti e gestori di locali. A cominciare dal circolo
del levante genovese in cui Picasso lavorava nel tempo libero come
buttafuori. Un locale per il poker legale il cui titolare è però tra gli
indagati dell´inchiesta ed è stato inibito a continuare l´attività . E poi
c´è quanto accaduto nel luglio 2007. Picasso e Schenone sono sorpresi dai
carabinieri di Albissola mentre tirano coca in auto. I due sono diretti ad
una discoteca molto nota gestita per la stagione da alcuni genovesi.
Questi e altri episodi contenuti nelle carte delle indagini hanno convinto
gli inquirenti ad approfondire la pista degli agenti buttafuori. Un
vecchio vizio, quello di arrotondare lavorando in nero nei locali, che a
Genova negli anni passati ha provocato indagini, provvedimenti
disciplinari e polemiche.
Quella notte Picasso piange ma non commuove i carabinieri che lo segnalano
ai suoi superiori della questura di Asti. «È successo un casino della
madonna... han beccato Ste» racconta Morgan ad un amico. La questura di
Asti comunica a Picasso di recarsi alla visita medica per verificare la
presenza di droga nei capelli. Lui si organizza. Prima si inventa una
malattia come racconta ad un amico: «Sono al pronto soccorso e gli
racconterò che ho male al ginocchio...». Ottiene 15 giorni di prognosi e
si congratula con se stesso: «Mi sa che vinco l´oscar». Poi si depila
completamente, anche sul pube («fa un male della madonna» commenta al
telefono). Dopo si presenta alla visita medica ma la ricrescita pilifera,
a quel punto, non presenta più tracce di coca.
Il trucchetto, però, a Picasso è costato un secondo capo d´imputazione:
truffa aggravata ai danni dello Stato. Poca cosa per chi, come sottolinea
il giudice Daniela Faraggi nell´ordinanza di custodia cautelare, ha
adottato ormai da tempo uno stile di vita «delinquenziale», con una
«condotta che denota assoluto spregio della legalità e dei doveri inerenti
la funzione rivestita».

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