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15.06.07

Repubblica Nazionale "Si' alla Diaz una notte cruenta ma non sono io il macellaio"


"Si' alla Diaz una notte cruenta ma non sono io il macellaio"
CARLO BONINI
La voce del questore Vincenzo Canterini arriva da Bucarest. Il Viminale ce
lo ha spedito due anni fa a occuparsi di traffico di organi ed esseri
umani presso una struttura Interpol, mettendo il mare tra lui e il Reparto
celere di Roma, tra lui e la scuola "Diaz" di Genova, dove, la notte del
21 luglio del 2001, agli uomini che allora comandava venne ordinato di
fare irruzione. Sessantatrè feriti. Una «macelleria messicana», per usare
le parole del vicequestore Michelangelo Fournier, che di Canterini era il
vice. «Io un macellaio non lo sono mai stato», dice lui. Insiste: «Capito?
Chi parla non è mai stato un macellaio. E´ un signore che è in polizia da
41 anni, fa sindacato con il "Consap" e vive in Romania, dove
l´Amministrazione gli ha chiesto di andare. Detto questo, sapete quando
Fournier ha parlato di "macelleria messicana"? Dieci giorni dopo quella
notte. E sapete con chi? Con il Procuratore di Genova dove si era
presentato spontaneamente per riferire quel che aveva visto. E sapete chi
lo aveva accompagnato dal procuratore? Vincenzo Canterini. Dunque, sono un
macellaio io?».

"Alla Diaz fu una notte cruenta ma il macellaio non sono io"

Il questore Canterini: c´era una macedonia di polizia
l sangue Come ho detto sempre quando entrai era tutto finito: vidi sangue
ovunque
le manganellate Qualche manganellata i miei uomini l´avranno data, ma non
a gente a terra
la versione Fournier è come un figlio per me, io e lui in fondo diciamo la
stessa cosa
l´irruzione Suggerii a La Barbera una soluzione diversa dall´irruzione
nella scuola
CARLO BONINI
Dunque, la macelleria c´è stata
«Il termine è folcloristico. Ma non c´è dubbio che è stata una notte
cruenta».
Il sangue lo ha visto anche lei?
«Certo che l´ho visto. Ne ho visto tanto e dappertutto».
Ha visto poliziotti picchiare donne e uomini inermi?
«No».
E Fournier, allora? Ha ammesso di aver visto e interrotto il pestaggio di
una ragazza a terra. Si è scusato per aver taciuto sei anni questa
circostanza. Lui ha visto e lei no?
«Premesso che Fournier è come un figliolo per me, io e lui diciamo in
fondo la stessa cosa».
"In fondo", lei ha appena detto di non aver visto nessun pestaggio.
«Come ho ripetuto per tredici ore al processo di Genova, come spiegai
nell´immediatezza dei fatti alla Commissione di inchiesta e appunto al
procuratore di Genova dove andai insieme a Fournier, quando entrai nella
"Diaz" era tutto finito. Cominciai a salire le scale della scuola e mi
fermai al primo piano, proprio quando sentii le urla di Fournier».
Cosa vide?
«Fournier era vicino a una ragazza ridotta malissimo. E mi diedi da fare
per far soccorrere lei come gli altri feriti che erano nella scuola».
Qualcuno la testa l´aveva rotta a quella ragazza.
«Non gli uomini del mio reparto. Non a caso, Fournier dice di essersi
dovuto togliere il casco e di aver gridato "Basta!" a chi la stava
picchiando. Se fossero stati i nostri ragazzi, Fournier non avrebbe avuto
necessità di togliersi il casco, perché il nostro intero reparto era
connesso da interfono. Avrebbe usato quello».
Dunque, lei arriva a cose fatte e né quella notte, né successivamente,
riesce a venire a capo di chi si è comportato da macellaio. È così?
«Quella notte, dentro la Diaz, c´era una macedonia di polizia».
Una "macedonia"?
«Come si vede dai filmati, nella scuola entrarono almeno in 300. I miei
uomini erano solo 70. Poi c´erano colleghi di altri reparti celeri,
identici a noi per abbigliamento se si eccettua il cinturone bianco.
C´erano agenti con l´Atlantica (camicia a maniche corte ndr.), agenti
delle squadre mobili con pettorina e casco, poliziotti dell´Anticrimine.
Di tutto, insomma».
Insisto. La notte della "Diaz" le ha cambiato la vita. Da due anni vive a
Bucarest, e in tutto questo non è riuscito a venire a capo di chi si
abbandonò alle violenze.
«Che vuole che le dica? È così. Che devo fare? Appena rientrai a Roma,
chiesi tutte le relazioni di servizio di chi era stato nella scuola quella
notte. Ma non seppi allora e non so oggi chi si è reso responsabile delle
violenze».
Nella "Diaz" i suoi uomini rimasero a braccia conserte?
«Ma no. Non dico questo. È ovvio che qualche manganellata l´avranno data.
Ma so per certo che nessuno dei miei uomini ha mai picchiato una donna o
un uomo a terra. Né ha mai ricevuto ordini di questo genere. E non lo dico
solo io».
Chi altro lo dice?
«Evidentemente non lo sa nessuno, ma soltanto su 2 dei 78 tonfa (i
manganelli ndr.) in uso al mio reparto quella notte, le perizie del Ris
dei carabinieri hanno trovato tracce di sangue. E quei due tonfa erano in
dotazione a due agenti rimasti feriti, Ivo e Parisi. Dunque, è molto
probabile che il sangue sia il loro. Dico di più. A Genova, Vincenzo
Canterini è imputato di un solo presunto reato. Non violenze, non
pestaggi. Ma di aver stilato una relazioncina di servizio al questore di
15 righe sui fatti di quella notte che non sarebbe stata veritiera».
Tacere la verità non è un vanto per un funzionario di polizia.
«Io non ho taciuto un bel niente. Io riferii al Questore quello che avevo
visto. Avevo visto la pettorina e il giubbotto di uno dei miei squarciato
da una coltellata e la perizia del tribunale, al contrario di quel che
affermò inizialmente il Ris dei carabinieri, ha stabilito che quella
coltellata fu inferta. Ho visto venire giù di tutto dai piani alti della
scuola e infatti tredici dei miei sono finiti in ospedale. Quali bugie ho
detto?».
A distanza di sei anni ci sarà qualcosa che si rimprovera di quella notte.
O no?
«Mi rimprovero di non essere riuscito a imporre una soluzione diversa da
quella che poi fu adottata. Ma è anche vero che non ne ebbi modo».
Quale soluzione diversa?
«Suggerii a chi comandava in quel momento di tirare all´interno della
scuola qualcuno dei potenti lacrimogeni di cui avevamo dotazione. E di
aspettare che chi era dentro uscisse. Ma non ci fu verso».
A chi lo suggerì?
«All´allora vicecapo della polizia e capo dell´Antiterrorismo Arnaldo La
Barbera».
Arnaldo La Barbera è morto. Non può né confermare, né smentire.
«E infatti faccio a fatica e mi dispiace doverne parlare. Ma queste cose
le ho dette già sei anni fa, quando il povero Arnaldo, un amico, era
ancora vivo. Io non so con chi si consultò a sua volta La Barbera. So cosa
venne deciso e so che quando l´irruzione cominciò io rimasi fuori dalla
scuola e il mio reparto passò sotto il comando di due funzionari della
Digos di Genova».

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