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21.04.13

repubblica genova DODICI ANNI DOPO L’ORRORE DEL G8 QUELLE FERITE CHE NON SI RIMARGINANO

DODICI ANNI DOPO L’ORRORE DEL G8 QUELLE FERITE CHE NON SI RIMARGINANO
ALESSANDRA BALLERINI

Quando, subito dopo quei tre giorni ma soprattutto dopo quella notte,
raccontavo quanto era accaduto, nessuno poteva credere che fosse la
realtà. E io stessa faticavo a credere alla mattanza della quale ero stata
testimone.
Il sangue, le cariche, i manganelli, le divise, i lacrimogeni, le urla. E
ancora il sangue. Sui marciapiedi, sui sacchi a pelo, sui termosifoni,
sulle scale.
Marina Spaccini una donna eccezionale, mite e forte, dopo aver
testimoniato sulla furia cieca di quelle divise che in piazza Manin nel
luglio 2001 le avevano aperto la testa coi manganelli mentre soccorreva un
altro manifestante, mi confidò un segreto. La ferita più dolorosa, quella
che non si sarebbe più rimarginata, per lei mamma, nonna, pediatra
volontaria in Africa, che si trovava con le mani dipinte di bianco tra
centinaia di altri pacifisti a manifestare per i diritti di tutti, era la
perdita di fiducia. La fiducia nello Stato, la fiducia in quelle divise
che lo Stato avrebbero dovuto rappresentare.
In quei tre giorni, ma soprattutto in quella notte alla Diaz, la fiducia
nelle divise e nello Stato, per chi in quei tre giorni c’era, è andata
perduta.
Nei processi, quelle divise hanno sempre negato o peggio occultato la
verità. Mai hanno chiesto scusa. Mai l’ha chiesta neppure lo Stato che
rappresentano. Marina se ne è andata dal mondo che ha cercato di cambiare,
senza che la sua ferita si rimarginasse.
Oggi di quelle divise, delle sole individuate e identificate come
colpevoli, i picchiatori sono ancora in servizio. I loro complici
«graduati» invece si sono trasformati, in obbligati «volontari» della
Caritas o di altre associazioni umanitarie, grazie a più di un decennio di
processi e di inoppugnabili sentenze di condanna. Cosa non si fa per non
finire in carcere! Ora quelle stesse divise si rivolgono al Tribunale di
Sorveglianza per chiedere di scontare la pena residua tramite
misure alternative.
Pretendono il perdono ma non hanno mai chiesto scusa. Né hanno mai ammesso
le proprie responsabilità. Ora forse i loro legali prepareranno per loro
una lettera per fare ammenda e soprattutto per evitare la prigione. Scuse,
se mai arriveranno, comunque tardive e obbligate e dunque insufficienti a
risanare ferite. Potrebbero sembrare l’ennesimo trucco di chi non vuole
affrontare le proprie responsabilità.
D’altronde dei 47 condannati per le torture di Bolzaneto solo 4 hanno
scelto di non avvalersi della prescrizione, gli altri 43 colleghi invece
sono ben lieti di restare impuniti.
Eppure divise che sappiano riconoscere (tempestivamente e spontaneamente)
le proprie colpe e chiedere scusa sono più forti perché’ più rispettabili.
Ed è rispettabile uno Stato dove le regole devono
valere per tutti. Diversamente si crea per i cittadini l’inaccettabile
sospetto che a pagare (anche con la tortura delle nostre prigioni) siano
sempre i più deboli, i più poveri, i disagiati, gli stranieri o i
tossicodipendenti.
Allora sarebbe auspicabile, se si vogliono evitare nuovi ingressi in
carcere, applicare, come ci raccomanda il Consiglio d’Europa, la
mediazione penale ovvero la procedura per la quale vittima e colpevole
partecipano insieme attivamente alle soluzioni delle questioni derivanti
dal reato con l’aiuto di un mediatore, di modo che i condannati possano
avere un’occasione per rimediare consapevolmente ai torti inflitti, le
vittime possano ottenere una «riparazione» delle proprie sofferenze e i
cittadini possano ricevere ristoro e rassicurazione da una Giustizia
efficace, equa e non vendicativa.
E di modo che le tantissime divise eroiche e giuste tornino ad avere il
rispetto e la fiducia dei cittadini. Per quelle 17 disonorate divise che
oggi chiedono venga loro evitato il carcere, trovo perfette, fatte le
debite proporzioni, le parole, della signora Schifani vedova di un’onorata
divisa, «chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso.. Sappiate
che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi
dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare... Ma loro
non cambiano.. non vogliono cambiare. Vi chiediamo per la città.. che
avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la
pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Ma non c’è amore».

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