08.09.03
Corriere della Sera, MAESTRI E ALLIEVI A SCUOLA DI TORTURA
dal Corriere della Sera, 8 settembre 2003
MAESTRI E ALLIEVI A SCUOLA DI TORTURA
L' Occidente liberale perde se rinnega se stesso affidandosi all' orrore
Claudio Magris
«La base di questo lavoro è l' intelligence. Il metodo è l'
interrogatorio. E l' interrogatorio si converte in un metodo quando si
svolge in modo da ottenere sempre una risposta». Il metodo di cui si parla
è la tortura, che strappa sempre una risposta all' interrogato ossia al
torturato; a dire queste parole è un personaggio del film La battaglia di
Algeri di Gillo Pontecorvo (1965), modellato su un personaggio
sinistramente reale, il colonnello Bigeard, capo di un gruppo di
paracadutisti francesi che, nella guerra d' Algeria, praticava torture
efferate. E' stato un altro protagonista della tortura in Algeria, il
generale Aussaresses, capo degli squadroni della morte, a riconoscere,
intervistato in un recentissimo documentario televisivo francese, nel
personaggio del film il colonnello Bigeard. Egli ha anche aggiunto: «Una
volta che l' interrogato ci aveva raccontato tutto quello che sapeva, la
facevamo finita con lui. Ormai non sentiva più niente. Lo facevamo
sparire». Il generale Aussaresses, per altro, è un grande ammiratore del
film di Pontecorvo: «Un film stupendo. Molto vicino alla verità. Non si
potrebbe far meglio, anche l' interpretazione è ottima». E' tragicamente
comico che il vecchio e grande film di Pontecorvo, girato per denunciare i
metodi illegali e disumani dell' esercito coloniale francese, sia
sinceramente ammirato da un torturatore d' alto bordo. Ma quest' ultimo,
serio professionista, apprezza l' oggettività della rappresentazione;
riconosce che il film ha saputo dire e mostrare le cose così come stavano
e si complimenta col realismo dell' opera. Non si sente offeso né
diffamato, perché pensa di aver svolto un' attività spiacevole, ma
giustificata dalla situazione. Come ha scritto Guido Olimpio sul Corriere
il 29 agosto, La battaglia di Algeri è ora utilizzata dal Pentagono per
studiare come affrontare la guerriglia irachena, ma già in passato è stata
adoperata per istruire ufficiali statunitensi e latino-americani,
specialmente argentini, all' epoca della dittatura militare, per insegnar
loro quei metodi, così efficaci nella lotta contro i movimenti d'
indipendenza e di protesta, e così efficacemente illustrati nel film. Lo
svela un agghiacciante documentario televisivo trasmesso il 1° settembre
in Francia (Canal Plus) e in altri undici Paesi, Squadroni della morte. La
scuola francese, realizzato da Marie-Monique Robin, ultima puntata di una
serie d' interviste ad alcuni incriminati ufficiali argentini, quali i
generali Ramón Díaz Bessone, Benito Bignone e Albano Harguindeguy, e ad
altri ufficiali, argentini, francesi e americani. I testi integrali delle
interviste sono stati pubblicati il 3 settembre su Página/12, un giornale
di Buenos Aires, dal quale traggo i dati e le citazioni. Gli intervistati
sono tranquilli e in pace col proprio animo; ammettono crimini, sevizie,
violazioni d' ogni genere dei diritti umani, ma le giustificano
serenamente, con le necessità della «guerra controrivoluzionaria».
Emergono complicità e connivenze d' ogni genere, da parte di governi e
istituzioni; il generale Harguindeguy sostiene che il governo francese,
presieduto da Giscard d' Estaing, appoggiava la dittatura militare
argentina; il generale Bignone racconta di una riunione nel 1977 in cui
tre vescovi cattolici diedero un sia pur mellifluo consenso all' uso della
tortura (altri settori della Chiesa si schierarono invece coraggiosamente
in difesa dell' umanità atrocemente violata). Per quel che concerne la
politica internazionale, va detto peraltro che non è mai esistito uno
Stato, nemmeno il più liberale democratico, che non abbia intrattenuto,
per convenienza o necessità, rapporti amichevoli con Paesi governati da
feroci dittature di vario colore. Il documentario parla soprattutto - come
dice il suo titolo - della «scuola francese». Numerose testimonianze
sottolineano come furono soprattutto esperti francesi a insegnare a corpi
speciali argentini, statunitensi e latino-americani in generale, quel
«metodo» della tortura che essi avevano imparato in Indocina e che -
secondo varie testimonianze - gli americani usarono, sul loro modello, nel
Vietnam e i militari argentini nel loro Paese. L' atlante dell' orrore è
variopinto. Un allievo di istruttori francesi, il colonnello Carlos Jorge
Rosas, introduce in Argentina - secondo il generale Bignone - la tecnica
della «guerra controrivoluzionaria». Il generale Aussaresses e altri
veterani d' Algeria istruiscono a Fort Bragg, negli Stati Uniti, i corpi
speciali destinati ad applicare tali insegnamenti sui vietnamiti; alla
domanda «Che cosa insegnava loro?», egli risponde: «Le tecniche della
battaglia di Algeri, arresti, intelligence, torture». Due suoi allievi
americani, veterani del Vietnam e oggi impegnati nella lotta per l'
abolizione della tortura, il generale John Johns e il colonnello Carl
Bernard, confermano di aver ricevuto da lui i primi rudimenti di questa
tecnica. Altri veterani d' Algeria e d' Indocina dispensano segretamente
il loro sapere a Buenos Aires; un' altra alta scuola di metodi
antisovversivi poco ortodossi è quella americana di Panama, legata alle
vicende di tante dittature latino-americane. Nel 1961 ha luogo il Primo
Corso Interamericano di Guerra Controrivoluzionaria, organizzato da
francesi e con la partecipazione di militari di quattordici Paesi. Il
colonnello argentino Robert Bentresque dice che gli americani erano molto
gelosi dei francesi e non li vedevano certo di buon occhio, ma fino agli
Anni ' 60 erano digiuni di tecniche di guerra rivoluzionaria e
controrivoluzionaria: «Le hanno imparate insieme a noi, nello stesso
periodo». Molti confermano come il film di Pontecorvo venisse attentamente
studiato in quei corsi. La Storia è anche il regno dell' assurdo; spesso
si mette un berretto da buffone, grottesco e sanguinoso. Non tutti i
testimoni di queste sconvolgenti e franche ammissioni sono dei sadici,
lieti di torturare come altri sono lieti di fare all' amore. Qualcuno sarà
certo un perverso per il quale la tortura è un piacere, ma per la maggior
parte si tratta di gente normale, che forse avrebbe preferito combattere
sul campo di battaglia piuttosto che usare scariche elettriche, ma che il
corso degli eventi e la forza delle cose hanno portato, progressivamente e
inavvertitamente, all' orrore. L' uomo è veramente caduto; il male più
orribile è alla portata di ognuno di noi e per ognuno di noi potrebbe
diventare facilmente una tranquilla abitudine, come per gli aguzzini dei
Lager e dei Gulag. Solo la consapevolezza di poter essere facilmente
contagiati dall' abiezione può aiutarci a non commetterla e a combatterla.
Senza un decalogo morale - e dunque anche politico, perché la politica, l'
arte o scienza della cosa pubblica e della vita sociale ossia dei rapporti
umani, è la forma più concreta della morale - tutto è possibile; tutto è
dostoevskijanamente permesso e può divenire orribile. Non è solo questa
guerra a essere «sporca», come ammettono i generali argentini inquisiti; è
anzitutto la politica che le sta dietro a essere sozza, così come dietro i
boia della Gestapo e della Ghepeù c' erano la politica nazista e quella
stalinista. I generali argentini processati sanno che le loro violenze su
concittadini e su bambini strappati alle madri non possono appellarsi a
quella logica della guerra e della guerriglia spietata d' ambo le parti
invocata nel caso dell' Indocina o del Vietnam. Essi dicono che i
desaparecidos sono stati «un errore politico», causa il quale «abbiamo
vinto la guerra, ma perso la pace». In realtà, quei metodi non fanno
neppure vincere la guerra: la Francia ha perso in Indocina, gli Stati
Uniti hanno perso nel Vietnam. L' Occidente liberale e democratico vince
con la pace, con la libertà, con la qualità della vita; non quando si nega
e diventa inumano. Gli Stati Uniti hanno vinto il confronto con l' Unione
Sovietica non grazie, ma nonostante i maccartismi di vario genere.
Página/12 riporta una frase del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che
non conoscevo e che potrebbe essere una definizione della democrazia,
della civiltà, dell' umanità stessa. A chi gli suggeriva di usare la
tortura con i brigatisti rossi detenuti per scoprire dove era tenuto
prigioniero Moro, Dalla Chiesa avrebbe risposto: «L' Italia può
permettersi di perdere Aldo Moro, ma non può permettersi di introdurre la
tortura». Claudio Magris LA CONVENZIONE DELL' ONU IL TESTO «Per tortura si
intende ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente a una
persona dolore o sofferenza gravi, sia fisici che mentali, allo scopo di
ottenere da essa o da un' altra persona informazioni o una confessione, di
punirla per un atto che essa o un' altra persona ha commesso o è
sospettata di aver commesso, per intimidirla o sottoporla a coercizione o
intimidire o sottoporre a coercizione un' altra persona o per qualunque
ragione che sia basata su una discriminazione di qualsiasi tipo, a
condizione che il dolore o la sofferenza siano inflitti da o su
istigazione o con il consenso o l' acquiescenza di un pubblico ufficiale o
altra persona che svolga una funzione ufficiale». (Art.1.1 della
Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, 1984)