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18.01.07

Corriere: Genova, il processo congelato per quanto riguarda la


http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/01_Gennaio/18/imarisio.shtml
Genova, il processo congelato per quanto riguarda la
parte più delicata. Nomi noti della Polizia sono
imputati di calunnia e falso
Blitz alla Diaz, sparita la prova contro gli agenti
L’irruzione nella scuola durante il G8: non si trovano
le molotov che sarebbero state portate dagli
investigatori
GENOVA — Dopo l’agente con la coda da cavallo e le
firme sui verbali di arresto, ci siamo giocati anche
Gutturnio e Colli Piacentini. Sparite nel nulla. Le
due bottiglie molotov addebitate ai 93 ragazzi
arrestati durante la sanguinosa irruzione alla scuola
Diaz, non si trovano più. In quell’ormai lontano G8,
luglio 2001, una vita fa, dovevano essere la «prova
regina», la conferma della pericolosità dei giovani
finiti in manette. Divennero invece il fulcro
dell’inchiesta sui poliziotti coinvolti in quella
sanguinosa perquisizione. La «prova regina» era falsa.
Fabbricata ad arte per incastrare i 93 no global e
giustificare così un pestaggio a freddo,
violentissimo, una specie di rappresaglia.
Gli ordigni erano stati sequestrati durante gli
scontri del pomeriggio, e portati alla scuola da due
agenti mentre il blitz era in corso. Sono il fulcro
del processo che dall’aprile 2005 si sta celebrando
nell’Aula magna del Tribunale di Genova. In Italia, è
avvolto in una nuvola di silenzio. All’estero è
diverso. Alcune udienze sono state «l’apertura» del
telegiornale della Bbc, quando a deporre fu il
giornalista inglese Mark Covell, massacrato a calci e
pugni dagli agenti davanti al cancello della scuola;
altre sono finite in prima pagina sulla Frankfurter
Allgemeine, quando venne rievocato il calvario di Lena
Zuhlke, vent’anni, tedesca di Amburgo, un anno di
ospedale per riprendersi parzialmente dalle fratture e
dalle lesioni provocate dalle scarpate dei poliziotti.
Qui da noi, il nulla, anche se tra gli imputati vi
sono nomi molto importanti della polizia italiana,
accusati a vario titolo di falso, calunnia, lesioni
gravi.
Eppure di cose ne succedono, nelle due udienze
settimanali. Il clima è sempre frizzante. Sulla porta
dell’aula ci sono sempre agenti che prendono le
generalità di chi entra ed esce. L’udienza di ieri era
di quelle importanti, lo testimonia la presenza di
tutti gli avvocati degli imputati, evento mai successo
dall’inizio del processo. Doveva deporre il dirigente
Valerio Donnini, all’epoca responsabile del reparto
che raccolse le molotov per strada. La discussione
entrava nel vivo, insomma. Il legale di uno degli
imputati ha chiesto che venissero mostrate in aula le
due molotov. Durante tutta l’inchiesta, i
riconoscimenti sono stati fatti tramite foto dei due
ordigni, ma in dibattimento viene chiesta la sua
ostensione. È uno stratagemma difensivo abbastanza
comune. Trattandosi di corpi di reato, le due molotov
dovrebbero essere a disposizione del Tribunale.
Soltanto che nessuno le ha mai viste.
L’ultima notizia delle due «prove regine» risale alla
notte dei tempi. Il 7 maggio 2002, la Procura chiede
alla questura di Genova il numero esatto delle bombe
incendiarie sequestrate nei giorni del G8. Sono
cinque, è la risposta della Digos. Tre sono state
distrutte, le altre due sono quelle della Diaz e sono
custodite negli uffici della Polizia scientifica. Da
lì in poi, nessuno ne ha più saputo nulla. Nei reperti
del processo, quelle bombe non sono mai entrate. Nella
storia di quest’inchiesta non è la prima volta che si
verificano misteriose sparizioni. Era successo già
un’altra volta, poco prima del rinvio a giudizio dei
poliziotti. Erano scomparsi i tabulati telefonici
ottenuti dalla Wind. La questura di Genova sosteneva
di averli inviati in procura. Alla fine, vennero
ritrovati negli uffici della Squadra mobile.
È molto probabile che la sparizione delle molotov sia
attribuibile soltanto ad incuria e trascuratezza. Ma
quel che emerge dal processo della scuola Diaz è la
scarsa collaborazione delle forze dell’ordine quando
sono chiamate a indagare su se stesse. Nelle ultime
udienze è stata certificata l’impossibilità di
identificare un poliziotto dalla fluente coda di
cavallo fotografato in primo piano durante
l’irruzione. Parla con altri agenti, dà ordini.
Nessuno l’ha riconosciuto. Così come nessuno degli
altri firmatari del falsissimo verbale di arresto dei
93 no global ha saputo indicare di chi è la
quindicesima firma posta sul documento.
L’eccezione si chiama Luca Salvemini, fa il
vicequestore a Palermo e nel giugno 2002 venne
incaricato dalla procura di Genova di indagare sui
falsi commessi dai poliziotti. Lo fece. E la scorsa
settimana, si è limitato a raccontare in aula come le
due molotov siano state introdotte alla Diaz mezz’ora
dopo l’inizio della perquisizione, mentre i migliori
investigatori d’Italia parlottavano tra loro nel
cortile dell’istituto senza accorgersi di nulla, nel
migliore dei casi. La sua deposizione ha
inevitabilmente messo in risalto l’omertà e la
mancanza di collaborazione degli altri suoi colleghi.
Il riassunto delle puntate precedenti finisce qui. In
attesa del ritrovamento delle molotov, se mai avverrà,
il dibattimento va avanti a scartamento ridotto. Il
tribunale ha deciso di «congelare» le testimonianze
relative alle bottiglie incendiarie. Senza Gutturnio e
Colli Piacentini, almeno per ora i vertici della
Polizia sono dispensati dalla spiacevole incombenza.
Marco Imarisio
18 gennaio 2007

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