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15.07.08

il manifesto Impunità per le torture

IL LODO BOLZANETO
Impunità per le torture
Su 46 imputati per gli abusi nella caserma genovese, 30 assolti. Gli altri condannati a pene lievi o lievissime. Il primo processo alle forze dell'ordine per i massacri del G8 si conclude con la vittoria dei torturatori
Sara Menafra
INVIATA A GENOVA
Scarnificata, privata dei particolari più raccapriccianti. La storia delle torture della caserma di Bolzaneto che nelle notti del G8 genovese coinvolsero quasi trecento persone (209 sono le parti civili che hanno partecipato al processo) emerge ripulita e stravolta dalla sentenza che ieri sera ha assolto la maggior parte degli imputati e condannato quindici persone su quarantasei ad un totale di ventiquattro anni di carcere, contro i 76 e quattro mesi chiesti dai pm Patrizia Petruziello e Ranieri Miniati.
E anche se i magistrati che hanno seguito l'inchiesta per sette anni si dicono «soddisfatti» perché «l'impianto accusatorio ha retto, nonostante alcune valutazioni differenti del tribunale», basta scorrere le condanne per capire che il collegio presieduto da Renato Delucchi ha creduto solo parzialmente alle accuse delle parti civili che in questi anni hanno ripercorso le notti di Bolzaneto cercando di ricordare volti e torture.
Assolti tutti i carabinieri, quelli che, dopo la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, erano stati dirottati a Bolzaneto ad occuparsi dell'«accoglienza» ai manifestanti arrestati e fermati . Via gli agenti della polizia penitenziaria Oronzo Doria, Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia. E a casa anche i poliziotti che si occupavano dell'«ufficio matricole», gli unici per i quali i pm avessero chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche.
La condanna più grave, a cinque anni, contro i 5 anni 8 mesi e 5 giorni chiesti dalla procura, è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, l'ispettore della polizia penitenziaria responsabile dell'intero «sito penitenziario». Quello che, secondo le testimonianze delle vittime, introdusse a Bolzaneto la «posizione del cigno» decidendo che la maggior parte dei detenuti dovessero attendere in piedi, faccia al muro con gambe divaricate e braccia alzate (la cosiddetta «posizione del cigno», appunto) per tutto il tempo della detenzione, fosse anche un giorno intero. Alfonso Sabella, coordinatore di tutte le attività dell'amministrazione penitenziaria durante il G8 (archiviato alla fine delle indagini preliminari), raccontò ai pm: «Gugliotta mi fece capire che la polizia di stato teneva gli arrestati in quel modo e dunque poteva essere visto come una sorta di delegittimazione operare una scelta differente».
Decisamente ridimensionata la posizione di Giacomo Toccafondi, il medico «in tuta mimetica», per il quale i pm avevano chiesto tre anni e mezzo di carcere e che è stato condannato a un anno e due mesi. Evidentemente - ma saranno le motivazioni a chiarire quale sia stata la ratio - i giudici non hanno creduto ai racconti delle tante vittime passate in infermeria, che hanno parlato delle minacce del medico, di come costringesse le ragazze a spogliarsi e girarsi e rigirarsi nude davanti a lui. O di come abbia ricucito senza anestesia la mano strappata di Giuseppe Azzolina.
Per quel taglio in due parti, che ha danneggiato in modo irreparabile il giovane genovese, il responsabile, Massimo Luigi Pigozzi, 44 anni, assistente capo di polizia ancora in servizio a Genova, è stato condannato a tre anni e due mesi. Una punizione a metà: la corte ha deciso che quel gesto, quello strappo, non era aggravato dall'aver agito con «crudeltà nei confronti della vittima». Anche lui, come tutti gli altri, potrà beneficiare di una rapida prescrizione, a gennaio del 2009.
Perché la beffa nella beffa, più crudele delle condanne fortemente ridimensionate, è proprio questa. L'incapacità della giustizia italiana di riconoscere che quel che accadde a Bolzaneto era tortura ha fatto in modo che i responsabili della caserma che accoglieva i detenuti fermati durante i cortei fossero accusati di abuso d'ufficio (art. 323 del codice penale, pena massima 3 anni), solo in alcuni casi di lesione personale (art. 582, 3 anni) o di falso (art. 479, 6 anni) perché nel nostro paese il reato di tortura non esiste. E non c'è norma che riconosca i calci, i pugni, l'attesa per ore in piedi, il passare tra due ali di agenti che picchiano, il dover cantare «Uno due tre, viva Pinochet» o «duce duce». E nei prossimi mesi prescrizione e indulto cancelleranno tutto il resto. Con l'incubo lasciato appena dietro l'angolo di un decreto «blocca processi» che poteva fermare persino questa sentenza.
Serve a poco pensare che i giudici abbiano riconosciuto anche le responsabilità dell'ex numero due della Digos genovese, Alessandro Perugini, vicequestore e dirigente più alto in grado presente a Bolzaneto, condannato a due anni e quattro mesi (invece di tre e mezzo) insieme ad Anna Poggi, vice di Canterini all'interno della struttura.
E le parole del pm Vittorio Ranieri Miniati, «nella sostanza l'accusa di abuso d'autorità (e dunque di tortura, ndr) è stato riconosciuta», lasciano l'amaro in bocca.



GENOVA
La delusione in aula: «Una presa in giro»
La rabbia dei giovani picchiati
Alessandra Fava
GENOVA
Alla lettura del dispositivo è venuto con madre, padre e fidanzata. Luca Arrigoni, 27 anni, savonese, studente e commesso in un negozio video, dopo la lettura del dispositivo non si capacita: «E' uno schifo, voglio andarmene dall'Italia. E' la fine della pantomima che pensavo fosse questo processo. I responsabili pagano un prezzo irrisorio. E' un messaggio anche a chi non c'era: la prossima volta sapranno che potranno agire impunemente». Sua madre accanto è ancora più arrabbiata: «Una presa in giro. Mio figlio nel 2004 ha dovuto essere operato per un calcio nel sedere ricevuto a Bolzaneto. Questa è la giustizia italiana».
Se l'avvocato Vincenzo Galasso parla di «pena molto mite», Vittorio Agnoletto allora portavoce del Genoa Social Forum sostiene che «è positivo il riconoscimento dei reati e delle vittime attraverso i risarcimenti e il fatto che i ministeri siano chiamati in solido a rispondere e che le assoluzioni per insufficienza di prove riconoscono la gravità dei fatti anche se si tende a diminuire la portata delle responsabilità individuali».
Contenti sono gli avvocati dei 45 imputati tra poliziotti, penitenziaria, carabinieri dei quali solo 15 condannati. L'avvocato Giovanni Scopesi che difende Alessandro Perugini il massimo grado per la polizia a Bolzaneto, allora vice della Digos, dice che: «Il tribunale ha cassato tutte le tesi dell'accusa, condanna solo ai risarcimenti dei detenuti, risarcimenti che saranno comunque fatti dai ministeri e bisognerà vedere quando».
«Delusa», lo dice con rabbia e stupore, Arianna Subri, anche lei passata per la caserma, «mi aspettavo un sacco di condanne, forse ero troppo ottimista, mi sembrava che le cose fossero state ampiamente appurate».
Uno dei pm, Vittorio Ranieri Miniati che con Patrizia Petruziello ha fatto tutta l'indagine e la costruzione delle accuse, salendo le scale dell'aula bunker si chiede «come mai hanno cancellato il 323, l'abuso d'ufficio», anche se è soddisfatto delle condanne per abuso d'autorità, «sulle posizioni dei singoli mai fatte questioni», assicura anche se del fatto che si sia cancellato l'unico reato che non sarebbe finito in prescrizione nel gennaio del 2009, il falso ideologico (473) non vuole commentare.
Sono state lunghe per tutti le ore d'attesa. Alle cinque una piccola folla si era già riunita nella sala bunker del Tribunale. Un pubblico folto di genovesi rappresentanti di associazioni, ambientalisti, pacifisti, molti pezzi dell'allora Social Forum erano già in aula. «Di Bolzaneto non voglio parlare - mette le mani avanti Francesco, studente universitario - Penso che sia un processo troppo mediatizzato. Non avviene lo stesso nei cpt, nelle caserme o negli arresti e nessuno se ne occupa? chi ha preso le botte per strada magari poteva prevederlo ma chi è stato coinvolto alla Diaz si è trovato spiazzato come trovarsi un ladro in casa mentre dormi».
Siccome di giornali è un appassionato lettore pensa anche che sulla comunicazione si sia sbagliato e parecchio: «Certo se avessero fatto comunicati diversi sin dall'inizio i processi sarebbero stati meno politicizzati. Avremmo dovuto far capire alla gente che le cose sono andate veramente come le abbiamo descritte e non è la tesi di una banda di comunisti».
Se c'è emozione è certo tra gli avvocati delle parti civili, alcuni giovani. Elena Quartero che con l'avvocato Lerici assiste quattro francesi tra cui Valerie Vie (che in all'inizio del processo si chiedeva come infondere speranza ai suoi figli dopo le porcate viste nella caserma) commenta che «è il primo processo che porta la polizia italiana a giudizio».
«Non ho nessun fiducia spero solo che esca fuori chi ha dato gli ordini e chi comandava», è il commento di Norma Bertullacelli della rete per la globalizzazione dei diritti - in ogni caso archiviato il caso Giuliani penso che nessun processo sia sufficiente a ristabilire che cosa successe nel 2001. E paradossalmente si prospetta il G8 alla Maddalena finanziato nuovamente dal centro-sinistra». Sarà per questo che Norma veste una maglietta nera con «Genova 2001, niente da archiviare».

BOLZANETO
Le tappe del processo
Oltre 180 le udienze. Circa 360 i testi sfilati in aula e 155 le parti civili. 50 gli avvocati di parte civile e una sessantina i difensori degli imputati. Questi i numeri del processo per i fatti di Bolzaneto, iniziato quasi tre anni fa - era l'ottobre del 2005 - mentre le richieste dei pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati sono del marzo scorso. Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 la caserma di Bolzaneto, dove furono condotte le persone arrestate nei giorni del G8, è stata descritta dai pm come «un girone infernale» e un luogo di tortura fisico e psichico. Secondo l'accusa sarebbero avvenuti episodi di vera e propria tortura che avrebbero violato la dignità umana e i più significativi diritti alla persona. Anche in infermeria, medici e agenti avrebbero inflitto vessazioni agli arrestati feriti.


IL PM
«Riconosciuto l'abuso d'autorità»
Non è totalmente negativo il giudizio a caldo del pm Vittorio Ranieri Miniati dopo la lettura della sentenza che vede condannate 15 persone e assolte 30. «Nella sostanza l'accusa di abuso d'autorità è stato riconosciuto. Inoltre è stata riconosciuta la responsabilità di diversi imputati», ha detto subito dopo il verdetto. «E' stato riconosciuto - ha proseguito Miniati, che ha sostenuto l'accusa insieme a Patrizia Petruzziello - che qualcosa di grave nella caserma di Bolzaneto è successo». «Il tribunale - ha proseguito - ha ritenuto di assolvere diversi imputati. Leggeremo la sentenza e valuteremo se fare appello. Complessivamente è un giudizio di soddisfazione a conclusione del processo e dopo un'istruttoria che ci ha impegnato per anni». I pm, nella loro lunga requisitoria, raccolta in una memoria di 600 pagine, avevano parlato di «girone infernale» e affermato che nella «caserma di Bolzaneto furono inflitte alle persone fermate almeno quattro delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte Europea sui diritti dell'uomo, chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli Anni Settanta, configurano trattamenti inumani e degradanti». L'accusa però, non potendo contestare il reato di tortura, che non esiste nel nostro ordinamento, aveva scelto di chiedere l'abuso d'ufficio oltre alla violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, abuso d'autorità nei confronti di persone arrestate o detenute, minacce, ingiurie, lesioni.

LA MADDALENA
La prima pietra del G8 fantasma
Braccio di ferro Soru-Berlusconi
Costantino Cossu
LA MADDALENA
Il G8 della prossima estate sarà un gran circo. Ancora c'è un margine d'incertezza sulla sede, perché qualcuno vorrebbe sfilare il summit alla Maddalena, luogo del destino designato da Romano Prodi e da Renato Soru; ma sul fatto che il G8 gestito da Silvio Berlusconi sarà un gran circo non esiste il più piccolo dubbio. In proposito il Cavaliere ha lanciato segnali inequivocabili al vertice di quest'anno, quello che si è appena concluso a Tokyo. Durante una pausa dei lavori, il presidente del Consiglio dei ministri si è infilato in una boutique Armani e lì, incantato dalla bellezza degli arredi, è stato colto da una delle sue geniali folgorazioni: ha preso il cellulare, ha chiamato Giorgio Armani in persona e gli ha chiesto se fosse disponibile a disegnare una delle suite che ospiteranno i grandi della Terra, magari quella di Obama (o di McCain), lasciando le stanze di Sarkozy e compagnia alle altre firme della moda made in Italy. Alice Bon, responsabile della casa milanese, sentita dai giornalisti, ha precisato che per il momento è solo un'idea lanciata lì, ma ha aggiunto che Giorgio Armani potrebbe essere tentato non poco di dare il suo contributo al rilancio della Maddalena: lo stilista conosce bene l'arcipelago, che frequenta con il suo yacht, il Mariù. E poi non è un mistero per nessuno che la sua maison, oltre a creare modelli per le sfilate, si occupa di alberghi (uno è in costruzione a Milano e sarà pronto per il 2010).
Il gran circo, dunque, è cominciato. E i numeri in pista si susseguono con una tale imprevedibilità che al povero sindaco della Maddalena, Angelo Comiti (Pd), la testa gira come i birilli di un giocoliere. Lui il G8 lo vorrebbe fortissimamente a casa. E ha le sue buone ragioni: chiusa la base della Us Navy e ridotta ormai al minimo la presenza della Marina italiana, c'è un'economia da riconvertire dal militare al turismo, con 1.800 disoccupati su una popolazione di 12.000 abitanti. Ma le docce fredde si susseguono una dopo l'altra. La prima sono stati i risultati delle elezioni politiche alla Maddalena: prometti la luna e i maddalenini votano in maggioranza per il centrodestra. Ingrati? Diffidenti? Chissà.
Poi ci si è messo Berlusconi, che venerdì scorso, in pieno consiglio dei ministri, si è detto dubbioso sulla reale possibilità di ultimare i lavori alla Maddalena in tempo per ospitare il prossimo G8. Il Cavaliere ha evidenziato le difficoltà logistiche legate al fatto di dover lavorare su un'isola. E a quel punto che cosa ti hanno fatto i ministri della Lega? Hanno colto la palla al balzo per proporre come soluzione alternativa Milano, visto che all'ombra della Madonnina si sta già lavorando per l'Expo 2015. Berlusconi ha replicato che era un'ottima pensata, aggiungendo che la questione sarebbe stata approfondita. Ieri il sindaco Letizia Moratti ci ha messo del suo: «Milano dà la sua disponibilità», ha detto a margine dell'inaugurazione dell'ultimo tratto del passante ferroviario cittadino, «ma la decisione è del presidente del Consiglio, naturalmente in un'ottica di ottimizzazione delle risorse in vista dell'Expo»..
Comiti, Soru e Guido Bertolaso, il super tecnico che gestisce tutta la fase di preparazione del vertice, hanno un bel dire che la Maddalena non è in ritardo e che il summit si farà nell'isola. Continuano a fioccare le proposte alternative, persino quella di Fiuggi: «Con il sindaco Virginio Bonanni stabiliremo una linea comune per sostenere la candidatura di Fiuggi ad ospitare il prossimo G8. Centrare questo obiettivo sarebbe una manna per il nostro territorio», ha detto domenica scorsa il presidente della Provincia di Frosinone, Francesco Scalia.
Niente di strano, allora, che Soru, per non rischiare di vedersi sfilare un vertice che porterebbe in Sardegna 800 milioni di euro a un anno dalle elezioni regionali, calchi il piede sull'acceleratore. Proprio ieri, il governatore e Bertolaso erano alla Maddalena per l'apertura del primo cantiere in vista del G8, quello per la bonifica del vecchio arsenale della Marina, dove dovrebbe sorgere il polo nautico, con una zona di rimessaggio per la cantieristica leggera e un'area per attività fieristiche e commerciali, più un albergo e la sala delle riunioni dei capi di stato e di governo, un grande parallelepipedo di cristallo e acciaio aggettato sul mare, firmato dallo studio di Stefano Boeri. Tutti gli altri appalti, assicura Bertolaso, saranno assegnati entro luglio, e ogni cosa sarà al suo posto per la prossima estate. La Moratti e quelli delle terme, a Fiuggi, si mettano l'animo in pace: il circo del G8 Silvio Berlusconi lo dirigerà alla Maddalena.

IL PROSSIMO SUMMIT
«Cuntra su G8» I no global pronti allo sbarco sardo
CAGLIARI
Dovesse essere spostato a Milano come vorrebbe la Lega nord e non dispiacerebbe a Letizia Moratti, non è difficile ipotizzare un tipo di mobilitazione no global sul modello Rostock 2007 o, per rimanere a casa nostra, Genova 2001. E' anche per questo che l'ipotesi di tenere il vertice in una grande città (un'altra candidatura possibile era quella di Napoli, poco fattibile perché troppo simile a Genova e con una piazza troppo complicata da gestire) è finora stata scartata. Se invece verrà confermato che il prossimo G8 si svolgerà alla Maddalena, allora sarà tutto logisticamente più complicato. Anche se c'è chi si sta preparando a non lasciare comunque soli gli Otto grandi della Terra.
Il 28 giugno si è tenuta a Cagliari la prima assemblea nazionale per l'organizzazione delle attività da svolgersi durante il summit. All'assemblea hanno partecipato diverse realtà associative, partitiche e di movimento. Ne è uscito un documento in cui si fa appello alla costituzione di «un più ampio comitato comprensivo di tutte le organizzazioni che si sono battute e si battono contro la globalizzazione liberista e la legittimità del G8, finanziato con logica bipartisan dagli ultimi due governi nazionali e da quello regionale sardo».
Sinistra critica, poi, prepara un controvertice che si chiamerà «Cuntra a su G8» (contro il G8, in lingua sarda). Lo hanno annunciato venerdì scorso i coordinatori regionali Gianluigi Deiana e Antonello Tiddia. «Ci stiamo incontrando con altre associazioni e stiamo pensando di attuare una manifestazione in Gallura, forse ad Olbia, in occasione del vertice a La Maddalena», ha detto Deiana.
Intanto ieri il commissario straordinario per il G8 Guido Bertolaso e il presidente della Regione Sardegna Renato Soru (che sta tentando in ogni modo di non farsi scippare l'evento dal centrodestra) hanno incontrato gli ambientalisti del Wwf e di Legambiente, a margine della loro visita alla Maddalena, per rassicurarli sulla riqualificazione sostenibile dell'isola della Maddalena. Dopo l'abbandono degli americani e in vista del summit.

L'ANNIVERSARIO
Dai massacri di ieri al razzismo di oggi. A piazza Alimonda con i rom
Al via domani mostre e dibattiti a sette anni dal G8. E domenica per ricordare Carlo Giuliani solo musica «gitana»
a.f.
GENOVA
Dalla Mirafiori degli anni Settanta all'odierno sfruttamento dei migranti nei campi di pomodori o nei cantieri. Dalla nube alla diossina di Seveso alla sicurezza nei cantieri, il precariato multilingue (e femminile) della cura domestica, il lavoro minorile in Africani e Asia ma anche alle porte dell'Europa (Sultanhamet a Istanbul come documenta Federico Moleres). «Al lavoro-Genova chiama» è una mostra che fa riflettere partendo dai dati. Dal 1951 al 2005 si sono infortunati oltre 64 milioni di italiani e 151.730 sono morti. Il miraggio di un lavoro ha portato nella tomba quasi 15 mila immigrati che hanno tentato dal 1988 a oggi di entrare clandestinamente in Europa.
La mostra, nelle Sale del Munizioniere sino al 22 luglio, fa da corollario alle giornate legate al G8 genovese del 2001 ed è allestita da Progetto comunicazione, sotto la direzione artistica di Federico Mininni. Tra le curiosità anche un reportage fotografico inedito di Fabrizio Gatti sulla sua traversata del Sahara, dalla Costa d'avorio alla Libia, scattato mentre scriveva per il Corriere della sera, come racconta in un video. «Al Lavoro» è infatti un allestimento soprattutto visivo, basato su una cinquantina di filmati che accompagnano oltre 350 fotografie e raccontano amianto, Eternit, Thyssen (con la mostra realizzata dal Comune di Torino «Chi muore al lavoro»), la precarietà, lo sfruttamento nei supermercati, il lavoro migrante in casa (la badante ucraina a 600 euro al mese in nero), nei cantieri e in agricoltura.
La mostra , realizzata con la collaborazione del Comitato Carlo Giuliani, Verità e giustizia e Arci, col contributo di Comune e Provincia di Genova, Cgil di Genova e della Liguria, sarà anche la sede di alcuni dibattiti che si snodano nella settimana: oggi alle 17,30 la presentazione del libro «Cosa cambia» di Roberto Ferrucci, giovedì «Lavorare uccide» di Marco Rovelli, venerdì del documentario di Francesca Comencini «In fabbrica» con la regista medesima.
Da qui si parte domenica per raggiungere con un corteo piazza Alimonda dopo aver parlato, in mattinata, della tortura che non ha ancora un riconoscimenti giuridico nel nostro codice penale (e infatti i pm non hanno potuto attribuire la tortura agli imputati di Bolzaneto nonostante alcuni episodi non siano altrimenti definibili). Interverranno fra gli altri Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato Verità e Giustizia per Genova, e Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. Poche ore dopo, a piazza Alimonda nel pomeriggio di domenica 20, ci sarà una novità: «Abbiamo deciso di non far suonare i gruppi che hanno sempre dato generosamente la loro disponibilità - spiega Haidi Giuliani - ma solo i rom, in segno di condanna delle politiche di repressione e schedatura che il governo italiano sta portando avanti contro quel popolo». Perciò sia alla mostra che a piazza Alimonda ci sarà un banchetto dell'Arci che continua la raccolta delle firme per la campagna nazionale contro la loro schedatura. Lunedì 21 luglio come ogni anno ci sarà la fiaccolata alla Diaz organizzata dal comitato Verità e giustizia con la proiezione di un video all'interno della scuola Pascoli, sede del Media center nel 2001. Martedì si conclude, ancora al Ducale, con un dibattito sulla repressione. Tra le novità importanti, il sindaco Marta Vincenzi riceverà domenica le vittime della Diaz e di Bolzaneto che si sono costituite parti civili nei due processi. Un segnale, dopo che il Comune ha tentato senza riuscirci di costituirsi parte civile al processo dei manifestanti accusati di devastazione e saccheggio mentre ha scelto di non palesarsi nè nel processo Diaz né in quello Bolzaneto.

COMITATO VERITÀ E GIUSTIZIA
«Una pagina nera, ma l'Italia è ancora una democrazia?»
«Un totale di "soli" 24 anni di pene per i maltrattamenti fisici e morali inflitti ai detenuti nella caserma di Bolzaneto è certamente poco, ma intanto il tribunale ha condannato 15 persone, fra agenti e personale sanitario, confermando che in quella caserma è stata scritta una delle pagine più nere nella storia recente delle nostre forze dell'ordine. Quel che emerge e spaventa è come il nostro paese considera le violazioni dei diritti fondamentali: un reato lieve e destinato alla prescrizione per i tribunali, niente di rilevante per la politica, incapace in questi anni di approvare una legge sulla tortura e di sospendere dal servizio i funzionari (spesso addirittura promossi!) imputati nei processi seguiti al G8 di Genova. A Bolzaneto furono commessi abusi inaccettabili: i maltrattamenti dei detenuti sono del tutto incompatibili con una democrazia. In questi anni è stato favorito in modo irresponsabile un clima di impunità. Alle forze politiche e al parlamento chiediamo: l'Italia è ancora una democrazia?» Questo il commento a caldo del comitato Verità e giustizia per Genova, affidato a un comunicato stampa. 5 Sono i mesi della condanna più mite comminata dai giudici di Genova per le torture nella caserma della polizia a Bolzaneto. E sono anche gli anni della condanna massima.

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