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21.07.08

Il Secolo xix «G8, Genova volta pagina»

«G8, Genova volta pagina»
il sindaco Vincenzi alla commemorazione di carlo giuliani
«C'è una sentenza, un'altra arriverà. Al di là delle pene, accertata la
verità storica». Sulla stessa linea il papà della vittima e Agnoletto
21/07/2008
Genova. «Ora Genova deve voltare pagina. La verità storica è stata
accertata». Così il sindaco Marta Vincenzi tenta di suturare la ferita
aperta dal G8 del 2001 che accese i riflettori sulla città per le
violenze, anche delle forze dell'ordine. Vincenzi parla prima della
manifestazione che commemora Carlo Giuliani, ucciso durante i disordini e
del quale, con un momento di grande emozione, viene fatta riascoltare la
voce. Le parole del sindaco suonano come una svolta radicale dopo le
polemiche seguite alla sentenza sul pestaggio dei no global alla caserma
di Bolzaneto, e in vista di quella sulle botte ai dimostranti nella scuola
Diaz. Una svolta ancora più significativa perché con il sindaco si
schierano Giuliano Giuliani, papà di Carlo, e Vittorio Agnoletto,
eurodeputato e portavoce del Genoa Social Forum al G8.
mari, parodi e un commento

Genova archivia il G8
Vincenzi: «Abbiamo elaborato il lutto». Il padre di Giuliani: «Accertata
la verità»
Genova. «Il trauma è passato, il lutto è stato elaborato». Sceglie parole
drammatiche, il sindaco Marta Vincenzi, ma subito riapre alla speranza per
un mondo migliore, sorretto dai diritti universali dell'uomo e dalla
verità. È il tentativo, che trova immediati appoggi proprio nel movimento
no global, per voltare pagina sui tragici fatti del G8 genovese del 2001.
Sette anni fa gli scontri di piazza, la morte di Carlo Giuliani, la
devastazione della città, la violenta irruzione alla Diaz e le buie notti
della caserma di Bolzaneto. Sette anni sono stati lunghi e sofferti, le
foto di Genova hanno fatto il giro del mondo, ora le prime sentenze hanno
confermato ombre e sospetti. Andare avanti, secondo Vincenzi, passa anche
attraverso un pubblico riconoscimento alle vittime di quei giorni e alla
candidatura ufficiale di Genova come sede dell'Agenzia Ue per i Diritti.
«Questo - commenta il sindaco - non è un anniversario qualunque. Perché
c'è stato un processo e perché, per quello che riguarda Bolzaneto e la
Diaz, i magistrati hanno fatto un lavoro enorme e molto importante. Oggi
si chiude un momento, si supera il trauma, si pone fine all'elaborazione
del lutto. Ci sono state sentenze che hanno restituito una piena verità, a
prescindere dal peso e dalla consistenza delle richieste di condanna. Come
città, noi vogliamo oggi individuare una possibilità di superamento anche
simbolico, con la nostra proposta dell'Agenzia; perché sul tema dei
diritti Genova possa essere punto di riferimento anche nel futuro».
Insiste, Vincenzi, sulla sentenza per i fatti di Bolzaneto e sulle
richieste dei pm per l'irruzione di polizia alla Diaz: «Il fatto che siano
stati fatti processi e arrivino le prime sentenze contribuisce a chiudere
una fase e restituisce molte verità, ma occorrono anche atti simbolici».
Per questo, il sindaco dichiara che «alle manifestazioni di ricordo che
liberamente in questa città le associazioni hanno organizzato in questi
sette anni, sia venuto il momento di affiancare e inserire anche in modo
più aperto e visibile la volontà di questo Comune e di questa città di
offrire un riconoscimento morale a coloro che in quei giorni sono state
vittime, specie per chi non aveva compiuto nessun gesto neppure
lontanamente avvicinabile a un'azione violenta». Sennò, Genova stessa
rimane e rimarrà a sua volta «vittima».
E la voglia di voltare pagina, di ripartire superando il dolore del lutto,
è emersa anche ieri pomeriggio, nel settimo corteo verso piazza Alimonda
dopo il 20 luglio di sangue del 2001. Con la voce registrata di un
giovanissimo Carlo Giuliani che esorcizza il dolore e invita a guardare
oltre, con la madre del ragazzo, l'ex senatrice Haidi Gaggio, che apre
nuovi scenari come la lotta contro il governo Berlusconi che vuole
prendere le impronte ai bambini rom; con il padre Giuliano Giuliani che
esalta la «verità finalmente venuta a galla così come l'avevamo gridata».
Da qui si riparte. E il sigillo arriva dall'europarlamentare Vittorio
Agnoletto, al tempo leader del Genoa Social Forum: «Con le prime sentenze
sui fatti di Bolzaneto e le richieste dei pm sulla Diaz, è chiaro, come da
tempo sostiene tutto il movimento, che il finto accoltellamento, la
vicenda delle molotov e tutte le altre bugie sul ritrovamento delle armi
improprie e sulle presunte sassaiole nascondevano unicamente la volontà
precisa di impedire la ricerca della verità. Se pure resta da chiarire il
"nodo" della premeditazione - aggiunge Agnoletto -, è evidente come la
verità espressa dal movimento sia diventata verità giudiziaria. Al di là
del peso delle sentenze, emerge chiaramente, con la richiesta di
risarcimento delle vittime, che lo Stato è stato dichiarato responsabile
per quei tragici fatti». Si può andare avanti e il messaggio arriva anche
dal comico Andrea Rivera (pesantissimi i passaggi su Papa Benedetto XVI),
che si rivolge scherzosamente a Carlo.
L'elaborazione del lutto è quindi il filo conduttore della giornata, apice
delle manifestazioni per i sette anni convocate dal "Comitato Piazza Carlo
Giuliani". A partire dal mattino, con il sindaco Vincenzi e sette dei suoi
assessori presenti all'incontro con parte dei ragazzi picchiati alla Diaz
che si sono costituiti parte civile nei processi. Ci sono ragazzi, adulti
e anziani, si accomodano nella sala di rappresentanza di Palazzo Tursi e
raccontano brevemente il loro bisogno di giustizia e verità. Il sindaco
riconosce loro lo "status" di vittime e lancia il suo appello - accolto -
per la chiusura del trauma.
Tant'è, non sono mancate polemiche. Fuori dal palazzo sono rimasti una
trentina di ragazzi, per lo più stranieri, anche loro vittime del G8. Non
sono stati fatti salire perché indossavano una maglietta con la scritta
"25", come i no global condannati con l'accusa di devastazione e
saccheggio. Il fatto - sostiene la giunta - era fuori tema. Essere parte
civile significa essere certi di essere stati colpiti ingiustamente; il
capitolo sulle indagini a carico dei manifestanti è altro. È pur vero che
tra gli "esclusi", spiccano due ragazze dai volti candidi, sereni e
pacifici come la francese Valerie Vie e la tedesca Lena Zuker: la prima
condannata per aver fatto un passo nella "zona rossa", sotto il
grattacielo di piazza Dante, la seconda pestata a manganellate nella Diaz
(mascella rotta e ferite al cranio, in una foto simbolo del G8). Loro oggi
hanno ricostruito la loro vita, hanno figli, ma ancora chiedono giustizia.
Per questo hanno indossato la maglietta "incriminata" e hanno distribuito
un volantino in cui spicca l'immagine degli otto potenti ritratti al
Ducale insieme alla Vincenzi allora presidente di Provincia e alle altre
autorità cittadine. Haidi Gaggio, fuori dal palazzo, ha criticato la presa
di posizione del sindaco.
Su via Garibaldi, la strada di Genova patrimonio dell'Unesco, scorrono i
turisti. Fotografano i palazzi dei Rolli che ai tempi dei Dogi ospitavano
ambasciatori, capi di Stato e ospiti illustri. E un grande striscione blu
con la scritta in tedesco dalla traduzione facilissima: "Carlo Giuliani am
20 Juli 2001 in Genua von Carabinieri ermordet", «assassinato». È il tempo
di «voltare pagina, di superare quel trauma», ribadisce in serata Vincenzi.
giovanni mari
mari@ilsecoloxix.it

Centinaia di persone in piazza, mentre l'altoparlante diffonde la voce di
Carlo
il corteo
In una registrazione del 1995, il ragazzo ucciso nei giorni del G8 legge
alcune lettere di condannati
a morte della Resistenza
21/07/2008
Genova. Riemerge, da una registrazione del 1995, la voce di Carlo
Giuliani, allora un ragazzino di 17 anni, che legge le lettere di alcuni
condannati a morte della Resistenza. Torna a parlare, a pochi metri dal
punto in cui cadde ucciso dalla pallottola del carabiniere Placanica, la
vittima-simbolo di quello sciagurato G8 genovese. Parla di libertà,
democrazia, patria, coraggio, con queste parole si congedarono dalla vita
i partigiani Walter Fillak, Valerio Bavassano, Sergio Piombelli. Alcuni di
loro avevano la stessa età di Carlo quando morì: 23 anni. Don Andrea Gallo
sta accanto a Giuliano e Haidi Giuliani, i genitori di Carlo, il "toscano"
fumigante sotto il Borsalino nero come l'ala del corvo. Agguanta il
microfono e dice: «Carlo ha parteggiato dalla parte giusta. Nelle lettere
che ha letto c'è il grido di libertà e di giustizia che io, a 17 anni,
ascoltai quando rinacque la democrazia in Italia che e oggi riascolto. La
democrazia va riconquistata. C'è una nuova primavera e anche questo è un
dono di Carlo». La piazza applaude, don Gallo cita «la grande trappola»
preparata per il G8 del 2001, evoca «il desiderio di verità», andato
deluso. Il carabiniere Placanica, che esplose il colpo mortale, se l'è
cavata: usò legittimamente la sua pistola.«Il potere non è forte, è
fortissimo, ma Carlo, se fosse qui, griderebbe: "Su la testa! Tutti!". Il
grande male dell'Italia è l'indifferenza». Un migliaio di persone hanno
camminato fino a piazza Alimonda, attraversando la città distratta e
semideserta, nell'uggioso pomeriggio soffocato dallo scirocco. È un
happening appena velato di tristezza, si mangia panini e si beve il vino
del circolo Terra e Libertà/Critical Wine.
Haidi Giuliani come il marito indossa la maglietta nera con la scritta
"clandestino". Invita la folla a compilare la scheda preparata
dall'Associazione Piazza Carlo Giuliani Onlus, apponendovi l'impronta del
dito pollice sinistro. «Prendetevi le nostre impronte e non toccate i
bambini e le bambine rom e sinti", ci sta scritto sopra. Saranno quasi
trecento le schede riempite, le consegneranno al prefetto. Non a caso
l'orchestrina che strimpella è composta da musicisti rom. «La sinistra? -
sospira la signora - Dipende da che cosa si intende. Io continuo ad
incontrare gente come me, gente di sinistra». Il comico Andrea Rivera
imperversa. «Don Gallo, don Puglisi, padre Zanottelli. Questa è la mia
Chiesa, non la Chiesa della Cei». Applausi. Mischiati alla folla ci sono
Nando Dalla Chiesa, Russo Spena e l'ex ministro Ferrero.
"Carlo vive. I morti siete voi" sta scritto sullo striscione che apre il
corteo. Lo depongono nel punto esatto dell'asfalto dove Carlo venne
abbattuto. Vittorio Agnoletto nel 2001 era portavoce del Genoa Social
Forum, ora è parlamentare europeo. Dice che una verità giudiziaria è stata
raggiunta, sebbene la sentenza sulla Diaz sia «insoddisfacente». «Tramite
il Secolo XIX rivolgo un appello al presidente Napolitano. Lo Stato deve
scusarsi con i cittadini per ciò che i suoi rappresentanti in divisa hanno
compiuto al G8 di Genova. Tocca a lui farlo, come rappresentante di tutti
gli italiani». Agnoletto ha letto le rivelazioni sugli agenti americani
con licenza di sparare al G8 genovese. «Berlusconi dica se intende
rinunciare alla sovranità nazionale, durante il G8 del 2009, in Italia».
Renzo Parodi
parodi@ilsecoloxix.it
21/07/2008

Un passo per non vedere lo Stato come un nemico
david bidussa
Il ritorno in piazza Alimonda sette anni dopo i fatti del G8 di Genova ha
sicuramente un valore diverso che non quello degli anni passati. In mezzo
non c'è solo il tempo, c'è una sentenza di tribunale per alcuni timorosa,
per altri troppo dura. In ogni caso un capitolo della Storia italiana
recente ha trovato una risposta e forse, al di là di tutti i fatti
personali e le vicende, per la prima volta si ha l'impressione che
affrontare in pubblico i fenomeni controversi della Storia nazionale, le
scadenze e le vicende scioccanti, non costituisca un tabù.
In questo senso non è fuori luogo chi sottolinea il fatto che la sentenza
dei magistrati genovesi abbia un valore straordinario. È importante che
l'abbia detto il sindaco della città, Marta Vincenzi, e anche Giuliano
Giuliani, il padre di Carlo, il ragazzo che in piazza Alimonda è stato
ucciso durante gli scontri del G8. Ed è importante che, per bocca di
Vittorio Agnoletto, lo abbia riconosciuto anche una parte considerevole
del movimento no global che in questi anni è cresciuto intorno alla
memoria di Carlo Giuliani e ha trovato una propria memoria pubblica in
relazione al rancore o alla propria "rabbia" per i fatti della scuola Diaz.
È importante preliminarmente per la Storia del nostro Paese. Ricordiamolo.
In quarant'anni di fatti controversi, spesso contrassegnati da episodi di
sangue in cui la maggior parte dei caduti e degli uccisi sono stati
cittadini inconsapevoli, noi non abbiamo sputo molto. Una parte della
Storia d'Italia continua a essere ignota, comunque coperta da qualcosa che
evidentemente è troppo pesante per essere detto. Noi non sappiamo ancora
esattamente che cosa sia accaduto il pomeriggio del 12 dicembre 1969 a
Milano, quando sono morte 16 persone perché si trovavano dentro una banca;
non sappiano ancora perché 81 persone siano morte su un aereo Itavia il 27
giugno 1980 dalle parti di Ustica; ancora ignoriamo chi siano i mandanti e
come sia avvenuta una strage come quella del 2 agosto a Bologna. Noi della
nostra Storia non sappiamo tutto e spesso quando i fatti che hanno segnato
la nostra memoria pubblica sono entrati in un'ala di tribunale, ne sono
usciti senza che fosse chiara la scena.
Non è solo il problema di conoscere tutto. E non è solo un problema di
cose che si possono o non si possono dire. Quando i "non detto", le
reticenze, gli "omissis", come si dice in gergo, iniziano a essere più
numerosi dei fatti, l'effetto è quello dello scollamento tra Paese reale e
Paese legale, tra istituzioni e cittadini. Quella condizione rinvia a una
questione che non riguarda più la verità, ma chi quel sistema politico
riconosca come cittadini cui rendere conto del proprio operato e, in caso
di errore, scusarsi. Ma vale anche il reciproco. Una volta che si è
consumato pubblicamente quell'atto, anche chi si è rappresentato fino a
quel momento come anti-Stato deve riflettere sulla propria fisionomia
politica e sulla propria "lealtà".
È un passaggio che implica molte cose e che ha lasciato un segno in tutti
i sistemi politici nei quali la convinzione era che lo Stato e la cosa
pubblica fossero il nemico principale: il momento di una possibile
riconciliazione. Perché, non nascondiamolo, per una parte consistente per
quanto minoritaria dell'opinione pubblica - nel luglio del 2001 in Italia,
a Genova e non in una qualsiasi "nolandia" senza fisionomia - ciò che è
accaduto è stata una "vacanza dello Stato di diritto".
Dentro quelle scene si collocano molte responsabilità. Sia chiaro: non da
una sola parte (anche perché quello della scuola Diaz è un episodio in una
moltitudine di fatti che ancora attendono una ricostruzione serena).
Tuttavia chi rappresenta la legge può esigere solo se dimostra che sta
dentro i confini della legge. Ha in breve un obbligo. La sentenza di
Genova ha esattamente questo valore, più che uno spirito punitivo.
È un bene che gran parte del movimento l'abbia capito, anche se non è
ancora chiaro se tutti siano consapevoli che quella sentenza, così come
riconosce un torto subìto, vincola tutti gli attori in campo - in prima
istanza l'area dei movimenti - ad assumere un diverso atteggiamento, prima
di tutto a non vedere lo Stato come il nemico.

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