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26.06.05

IPS: Comincia a dissiparsi la nebbia su Genova

DIRITTI UMANI – ITALIA
Comincia a dissiparsi la nebbia su Genova
Francesco Screti

ROMA, giugno (IPS) – Ha tardato 4 anni la giustizia italiana per intentare i processi contro gli oltre 100 poliziotti accusati di maltrattamenti e torture ai danni di alcuni attivisti che parteciparono alle manifestazioni contro il G8 di Genova del luglio del 2001.

La filiale italiana dell’organizzazione di diritti umani Amnesty International (AI) ha giudicato i processi “un significativo principio per combattere l’impunità della polizia italiana”.

Il G8, di cui fanno parte Germania, Canada, USA, Regno Unito, Italia, Giappone e Russia, ebbe luogo dal 19 al 21 luglio del 2001.

Il 19 luglio, di fronte ad oltre 15.000 poliziotti schierati, circa 50.000 persone manifestarono senza incidenti contro il modello di globalizzazione economica, rappresentato dal G8, il club dei paesi più ricchi e potenti del mondo.

Il giorno seguente i manifestanti furono circa 100.000. Alcuni facinorosi aggredirono gli agenti di polizia, che risposero in modo straordinariamente violento: Carlo Giuliani, un giovane di 22 anni, fu ucciso dai proiettili di un agente in servizio. Non c’è mai stato un processo, perché il giudice istruttore ha ritenuto che il comportamento dell’agente rientrava nella legittima difesa.

Il 21 luglio le manifestazioni di protesta riunirono oltre 200.000 manifestanti e videro ripetersi le violenze.
Verso mezzanotte, circa 200 poliziotti invasero la scuola Diaz, dove dormivano alcuni manifestanti, e li picchiarono indiscriminatamente.

Il processo per questi fatti è iniziato ad aprile: 28 agenti, inclusi alcuni dirigenti, sono accusati di falso, calunnie, e concorso in lesioni gravi.

Altri 62 agenti coinvolti in quest’operazione, sono stati assolti il 15 giugno, perché, operando con il volto coperto, non sono stati certamente identificati, benché i loro capi e mandanti siano stati rinviati a giudizio.

Andrea Matricardi, vicepresidente di AI in Italia, ha definito “una beffa” il rinvio a giudizio dei capi e l’assoluzione degli esecutori dell’ordine. “Il fatto che i poliziotti avessero il volto coperto indica l’intenzione di non essere identificati. Ma perché –si domanda Matricardi- avrebbero dovuto nascondersi se stavano compiendo correttamente il loro dovere?”

Feriti ed arrestati nell’operazione furono trasportati alla caserma di Bolzaneto: lì furono identificati, e sottoposti a maltrattamenti ed abusi. Due giorni dopo furono portati in diversi centri detentivi, per essere liberati qualche giorno dopo.

Per i fatti di Bolzaneto 45 poliziotti di ogni livello gerarchico sono accusati di abuso d’ufficio, minacce, lesioni, violenze, omissione di denuncia, falso ideologico, abuso di autorità.

Per le violenze ad un giovane romano di 15 anni, ampiamente documentate, un agente è stato già condannato a circa 2 anni di prigione e sono state confermate le accuse contro l’allora vice-capo della DIGOS di Genova, Alessandro Perugini, i cui calci in faccia al minorenne sono apparsi in foto e filmati.

Per le stesse circostanze, altri 5 agenti sono stati processati per lesioni gravi, falso ideologico, calunnie, abuso di ufficio e minacce.

“I ritardi e la lentezza della giustizia italiana possono portare ad una prescrizione”, ha dichiarato preoccupato Matricardi, per cui è necessario “che si portino rapidamente a termine i processi e che si puniscano tutti i responsabili, mandanti ed esecutori, perché non si può giustificare una violazione dei diritti umani con la scusa di avere risposto ad un ordine superiore”.

”In quei giorni furono calpestati tutti i diritti costituzionali” ha dichiarato ad IPS Enrica Bartesaghi, la presidente del Comitato Verità e Giustizia per Genova, l’associazione che promuove il chiarimento dei fatti.

“Io non ero a Genova in quei giorni. C’era mia figlia Sara, di 21 anni”, che dormiva nella scuola Diaz.


”Sabato (21 luglio) mi chiamò dicendomi che stava bene, che sarebbe passata dalla scuola per prendere lo zaino e che sarebbe tornata a Milano. Da quel momento -ha raccontato Bartesaghi- non ho più saputo niente di lei. É scomparsa, inghiottita dalla violenza della polizia”.

”Dopo averla manganellata –ha continuato Bartesaghi- fu portata in ospedale, dove le riscontrarono un trauma cranico, ma insieme ad altri feriti fu portata alla caserma Bolzaneto. Furono fatti oggetto di minacce, anche sessuali, botte, insulti, umiliazioni, pene corporali”.

”Senza mangiare né bere, furono obbligati a restare in piedi per ore con le braccia alzate. Nessuno di essi, italiano o straniero, poté chiamare i suoi avvocati, dei familiari o i rispettivi consolati. Non furono informati né curati e furono obbligati a firmare dichiarazioni false”.

I portavoce del Capo della Polizia, Giovanni De Gennaro, e quello del Ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni, giustificandosi con il fatto che le indagini sono ancora in corso.

Questo silenzio, ha dichiarato Matricardi, “ravviva il sospetto che ci sia una continuità politica con quello che accadde in quei giorni”.

Lorenzo Guadagnucci, attivista del Comitato Verità e Giustizia per Genova, ha dichiarato s IPS che L’Italia è l’unica democrazia dell’Unione Europea senza una legge sulla tortura.

”È ormai da molti anni che si dibatte l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano –ha detto Matricardi- ma senza arrivare al rispetto di quelle norme internazionali che pure lo Stato Italiano ha ratificato”.

Nel 1989 lo stato italiano ha sottoscritto la Convenzione contro la Tortura ed Altri Trattamenti o Pene Crudeli, Disumane o Degradanti, adottata dalla comunità internazionale nel 1984 ed in vigore dal 1987.

Nel suo ultimo rapporto annuale (2005) sulla condizione dei diritti umani AI ha dedicato un intero capitolo alla “Brutalità della Polizia Italiana”, sottolineando che “gode di un’enorme impunità”.

Secondo Guadagnucci ”non si sta rispettando nessuna delle 3 condizioni che AI ha indicato come ineludibili per prevenire nuovi abusi da parte della polizia: la sospensione degli accusati, la condanna penale dei colpevoli, la disapprovazione politica dei loro comportamenti illeciti”.

L’8 agosto del 2001, il capo della Polizia De Gennaro disse che i ”professionisti della guerriglia urbana” che condussero le azioni violente e vandaliche erano una minoranza, ma che fu “l’obiettiva difficoltà di identificarli, favorita dall’appoggio di altri manifestanti apparentemente meno estremisti” a originare la risposta indiscriminata della polizia.

Assicurò di aver invitato gli operatori delle forze dell’ordine “ad un uso adeguato, prudente e misurato dei mezzi di coazione”, ma che ”le condizioni di guerriglia urbana determinarono” degli eccessi ”nell’uso della forza e comportamenti illeciti isolati ed individuali che saranno rigorosamente sanzionati”.

Un mese dopo, l’allora Ministro dell’Interno, Claudio Scajola, dichiarò che “la gestione dell’ordine pubblico si è inspirata ai più rigorosi principi di democrazia e libertà”, e accusò i manifestanti di aver accettato o appoggiato “consapevolmente o inconsapevolmente” la violenza di gruppi minoritari.

Sulle operazioni alla Scuola Diaz, Scajola ammise che ci furono “errori, condotte sbagliate, contraddizioni, incluso da parte dei dirigenti” e comportamenti scorretti o eccessivi “che saranno sanzionati con la dovuta durezza”.

Tuttavia né il Governo né le istituzioni di Polizia si sono mai scusate per gli “eccessi” e nessuno dei responsabili è mai stato destituito o sospeso dalle sue funzioni. “Alcuni -ha ricordato Matricardi- sono stati addirittura promossi”.

Il fatto più grave, l’omicidio di Carlo Giuliani, è finito in un’archiviazione, dopo “due anni d’indagini, perizie, dichiarazioni, ricostruzioni contraddittorie e false” come ha denunciato Bartesaghi.

”Non c’è stato neppure un processo –ha dichiarato a IPS la madre della vittima, Haidi Giuliani- ci siamo opposti all’archiviazione, ma inutilmente. Abbiamo presentato un ricorso, che è stato accolto, al Tribunale Europeo (dei Diritti Umani) di Strasburgo. E adesso siamo in attesa” ha concluso con il dolore e la dignità di una madre ferita.

Matricardi ha sottolineato che “le vittime hanno diritto ad un risarcimento economico e morale, mediante un processo che faccia giustizia su uno dei fatti più gravi accaduti in Europa Occidentale negli ultimi 20 anni”. (FIN/2005)

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