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27.10.07

lavoro repubblica Ma non sono procesi politici

Repubblica Genova

Ma non sono processi politici
MICHELE MARCHESIELLO
Dopo le richieste di condanna formulate dai pm nel processo contro 25
manifestanti accusati di devastazione e saccheggio, ma soprattutto dopo le
reazioni a queste richieste da parte dei movimenti ‘no global´, si deve
concludere che Genova, a distanza di oltre sei anni, non ha ancora
elaborato il lutto di quelle orribili giornate di violenza. Compito non
facile, per nessuno tra quanti hanno vissuto quei giorni, divisi tra
l´agghiacciante messa in scena dell´apparato repressivo e le immagini di
una città deserta, impaurita, abbandonata a una devastazione programmata.
Dimenticare non si può, ma neppure si può coltivare - più che il ricordo -
l´impulso irrazionale a perpetuare quei momenti, e l´odio per il nemico
che ne è perversamente scaturito e dal quale sembra così difficile
guarire. Come sempre, il lutto va elaborato, se si vuol tornare alla
ragione (ricordiamo Goya e il suo ‘sonno della ragione´, generatore di
mostri). Elaborare questo lutto della città (e del paese) significa prima
di tutto cercare una forma di giustizia che non sacrifichi la verità alla
pacificazione. In questo i magistrati genovesi si stanno mostrando
all´altezza del compito e della loro tradizione. Essi procedono non solo e
non tanto in nome della giustizia dello Stato (incline a sottrarsi al suo
compito fondamentale, che è quello di punire effettivamente i colpevoli di
crimini), ma in nome della verità , che durante questi anni è stata più
volte sul punto di soccombere o di venire soppressa.
L´insorgere di una certa piazza contro le richieste dei pm non solo ignora
questo aspetto, ma allontana il compiersi della giustizia attraverso la
pacificazione. Gridare scompostamente alla ‘mobilitazione´ per le
richieste dei pm non può che intorbidire questo processo, rendendolo opaco
e allontanandolo dal possibile recupero della ragione e della pace civile:
dalla compiuta elaborazione del lutto.
Va detto con la massima chiarezza che i processi di Genova non sono, e non
sono mai stati ‘processi politici´: questo deve valere sia per i
devastatori che per i torturatori. Questi processi sono e sono stati
rigorosamente - puntigliosamente, si dovrebbe dire - giudiziari, proprio
per allontanare da sé anche solo il sospetto di una ‘ragione politica´
retrostante. Ben diversa è la dimensione ‘politica´ che ogni processo,
anche il più modesto, finisce per rivestire. Ma se alla giustizia spetta
accertare i fatti ‘oltre ogni ragionevole dubbio´ (è grazie ai processi
genovesi che sarà impossibile ogni ‘negazionismo´ di destra o di sinistra)
, alla politica e ai suoi variegati attori spetta il compito di garanti
della pacificazione che deve subentrare a ogni grave rottura della vita
civile. Un´ultima considerazione riguarda l´indipendenza dei giudici del
G8, chiamati ad assolvere un compito che sicuramente travalica la
‘routine´ giudiziaria: indipendenza che dev´essere tale verso l´esterno,
ma ancora di più deve esserlo per la coscienza interna del giudice. La
minacciosa sollevazione verso le richieste dei pm - che sono e rimangono
tali: pure e semplici richieste da parte della pubblica accusa - non è
forse un modo di condizionare proprio quella indipendenza del giudice, che
ogni società dovrebbe preservare e custodire come uno dei propri beni più
preziosi? La sola mobilitazione che ci sentiamo di auspicare è quella del
silenzio della piazza, nel momento in cui i giudici si ritireranno in
camera di consiglio per deliberare la loro sentenza. ‘In nome del Popolo
Italiano´.

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