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14.09.03

Liberazione, Chi dette gli ordini durante la repressione della mobilitazione anti G8?

da liberazione

Chi dette gli ordini durante la repressione della mobilitazione anti G8?

Chi scelse i volenterosi esecutori? L'indagine giudiziaria sulle violenze
ai no global nella scuola Diaz e nella caserma Bolzaneto conferma la trama
Quel bubbone non ancora rimosso
L'immagine di Genova rimasta fissata come un chiodo nella coscienza di
tanti cittadini è quella della polizia unita alle tute nere contro i
pacifisti, i no global, l'Italia dei movimenti, che riempivano le piazze
della città militarizzata sfidando l'arrogante sfilata dei signori del
mondo. Per quanto paradossale, se paradossale, quella combinazione di
violenza istituzionale e di aggressione teppistica contro il diritto di
manifestare, è sostanzialmente confermata dalle conclusioni dell'indagine
giudiziaria sui fatti della Diaz e di Bolzaneto.

La brutalità di Stato - è questa la verità accertata dai pm - colpì
unicamente pacifici manifestanti prima nelle strade e poi nella scuola e
nella caserma-carcere. Resta da capire se quella perversa combinazione fu
effetto di una strategia improvvisata sul campo o degli ordini dati da una
sala di regia. Ci devono ancora spiegare perché il ministro dell'Interno
Scajola rimase a Roma (disse che era andato a dormire quando fu decisa
l'irruzione alla Diaz e fu informato a cose fatte) mentre a Genova c'era
Fini in circolazione per le caserme della Ps e dei carabinieri. Ci devono
ancora spiegare quali furono i reali poteri del capo della Ps e dei
super-poliziotti mandati dal Viminale a Genova, visto che i carabinieri e
lo Stato maggiore della Difesa si erano presi fette di ordine pubblico che
gestivano autonomamente con l'impiego di reparti e mezzi eccezionali come
se ci fosse un teatro di guerra. Una militarizzazione dell'ordine pubblico
che superava perfino le fobiche misure antiguerriglia di Scelba che
circondava le regioni rosse con battaglioni forniti di autoblindo, e
mortai. Ci devono ancora spiegare quali furono i reali poteri del prefetto
Ansoino Andreassi, mandato a Genova col compito di coordinare l'ordine
pubblico; perché gli fu affiancato all'ultimo momento il vice capo della
polizia Arnaldo La Barbera, con quali ordini; perché Andreassi la sera del
21 luglio lasciò la riunione in cui si stava decidendo il blitz alla Diaz e
non partecipò all'operazione. Andarono sul posto La Barbera e il capo dello
Sco, Gratteri. Solo come spettatori-controllori? Sia La Barbera (morto
qualche mese fa) che Gratteri hanno sempre detto che l'operazione fu
concepita e diretta dalle autorità locali di polizia. Vincenzo Canterini,
il capo del primo reparto celere di Roma, che ebbe un ruolo speciale nel
pestaggio, in condominio con la Digos di Genova e le squadre dello Sco, ha
sempre sostenuto di aver obbedito a ordini superiori. Fin qui abbiamo,
almeno da quel che appare, un ministro dell'Interno dimezzato che va a
dormire; un capo della polizia dimezzato tenuto a Roma all'oscuro di come
si muovono i carabinieri, lo Stato maggiore della Difesa e i servizi
segreti; un coordinatore dimezzato che si estranea dall'operazione Diaz; un
vice capo della polizia e il capo dello Sco dimezzati, ridotti ad essere
passivi mentre alla Diaz e a Bolzaneto si fa scempio ferocemente della
legalità. Se questa è la verità, l'intrigo di Genova è ancora tutto da
scoprire. Quale centro di potere ha gestito realmente l'ordine pubblico e
ha scatenato la violenza delle forze di polizia contro i pacifisti, fino
all'omicidio Giuliani e ai pestaggi alla Diaz e a Bolzaneto? L'indagine dei
magistrati di Genova, arrivata alla soglia della richiesta di rinvio a
giudizio per 73 dirigenti della Ps, agenti e medici potrà individuare i
colpevoli degli abusi e delle violenze, ma come ha detto Giuliano Pisapia,
per l'accertamento delle responsabilità politiche «diventa ancora più
indispensabile l'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare».

L'idea che un poliziotto non ci pensi due volte a seviziare un fermato e a
falsificare le prove è un'aberrazione lombrosiana. Migliaia di poliziotti
fanno il loro dovere al servizio dei cittadini, e se non ci fossero loro
non ci sarebbero regole democratiche, saremmo preda della violenza e del
crimine. Non basta un ordine per imporre a un poliziotto di violare la
legge. Cosa può aver indotto il vice questore Pietro Troiani a portare alla
Diaz due molotov raccolte in una strada di Genova e a spacciarle come prova
che nella scuola c'erano armi? Cosa ha scatenato la furia degli uomini di
Canterini contro gli inermi no global che stavano dormendo alla Diaz? E
perfino alcuni medici della Bolzaneto a essere disumani? Si possono
predeterminare questi comportamenti solo nei confronti di soggetti
volenterosi, disposti ad accettare il ruolo di aguzzini. I fatti avvenuti
alla Diaz e a Bolzaneto presuppongono non solo una trasmissione di ordini
illegali ma anche una selezione di soggetti volenterosi. Un lavoro fatto
all'interno di nicchie ideologiche, come in altri tempi si costituirono nei
reparti «Celere»: c'erano quelli che mettevano un'"anima" di ferro nel
manganello per picchiare più ferocemente. Di solito i «volenterosi»
subiscono l'ascendente di un capo che ha un grado gerarchico elevato e può
dispensare premi e favori. E' difficile che tutto un reparto si comporti in
modo criminale, ma poi scatta l'omertà, lo spirito di corpo,
l'intimidazione verso chi non vorrebbe essere complice. Un'inchiesta
sbrigativa, come quella fatta dal Viminale subito dopo i fatti, legittima
il sospetto che le autorità politiche, il ministro dell'Interno in primis,
abbiano messo il freno. Il fatto che dieci funzionari di Ps, tra i quali
Francesco Gratteri, ex capo dello Sco ed ora vice direttore
dell'antiterrorismo, e il suo vice dell'epoca Gianni Luperi, siano accusati
di aver avallato l'illegale arresto in flagranza dei 93 no global pestati
nella Diaz, dimostra che i pm sono convinti che i capi quanto meno si
lasciarono coinvolgere. Il ministro Pisano promette che chi ha sbagliato
pagherà e assicura che la polizia è sana. Parole giuste, ma il Viminale è
rimasto finora troppo in silenzio: non si tratta di fatti isolati al vaglio
della magistratura, ma di fatti concatenati in una trama che ha contaminato
settori delle forze di polizia. Bisogna rimuovere non delle mele marce ma
il bubbone.

Annibale Paloscia

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