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28.09.04

Liberazione: Diaz, scuola di pestaggi e depistaggi

Diaz, scuola di pestaggi e depistaggi

La procura chiede il rinvio a giudizio per 28 tra agenti e funzionari di polizia indagati per gli abusi della "notte cilena". I pm: la violenza è certa, verificabile e sproporzionata
Pestaggi e depistaggi: questo accadde nella notte "cilena" della Diaz e nei giorni successivi quando gli apparati di polizia tentarono di sviare le indagini sulle violenze e gli abusi cui assisté mezzo mondo nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001. Per questo la pubblica accusa ieri a Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per i 28 tra agenti, funzionari e alti dirigenti imputati di lesioni gravi, falso e calunnia.
Nella sesta udienza preliminare il pm Cardona Albini s'è soffermato per un'ora e mezza sui contributi video, spesso provenienti da fonti indipendenti, che hanno confermato i risultati degli interrogatori. Ma il filtro di polizia ne diminuirebbe la valenza accusatoria. Lo denuncia Indymedia ricordando i sequestri illegali di parecchi video e le operazioni di riversamento affidate in alcuni casi alla digos che è parte in causa nel rinvio a giudizio.

La memoria dei pm Zucca e Cardona è un vero e proprio libro di 261 pagine zeppe di note che definisce il "blitz" «sviluppo ed espressione di una direttiva che ha considerato matura un'iniziativa dal rischio tattico-militare e politico-sociale enorme». Una sorta di «riscatto finale» con l'obiettivo di «farla finita». La violenza dei poliziotti, secondo la procura, «è certa e verificabile: tutti i reparti che hanno fatto irruzione sono stati coinvolti nelle violenze e i rispettivi operatori o ne sono autori, o sono concorrenti o testimoni». E, ancora, la violenza è stata «del tutto sproporzionata alla situazione concreta e gli arresti illegittimi». «Imbarazzante», poi, «la negazione dell'evidenza nel comunicato finale letto alla stampa in questura dove si definiscono "pregresse" le ferite degli arrestati». Dei 93 che dall'inferno della Diaz passarono direttamente all'incubo di Bolzaneto, la memoria dice che fosse «ragionevole pensare che si fossero trovate nella scuola del tutt
o lecitamente». Infatti, nessuno degli arresti venne convalidato e caddero anche le accuse gravissime di associazione sovversiva. Restano solo quei «colpi inferti senza ragione, con determinazione, odio e disprezzo», le ferite «compatibili unicamente con il racconto delle persone offese», i particolari «agghiaccianti e avvilenti sull'inutile e indegno infierire delle "forze dell'ordine"», «il corridoio ridotto a un lazzaretto». Di fronte a ciò, spiega la procura, affiora «un'inquietante eppure semplice risposta: i poliziotti dovevano aver mentito». In conclusione la «perquisizione in massa» sarebbe secondo i pm «il tentativo di pareggiare la partita con i black bloc» e l'arrivo sulla scena di La Barbera, il "superpoliziotto", fu il «segnale della presenza di un obiettivo da raggiungere, anche con iniziative eclatanti, che possano ristorare l'immagine della presenza efficace della polizia». Le indagini hanno anche confermato l'esistenza di una catena di comando «instaurata in
via di fatto anche se negata a più riprese dagli interessati». Ci fu, insomma, una «specie di direttorio», un gruppo di funzionari ripresi in discussioni durante le fasi cruciali della carneficina.

Ma Gratteri e Luperi (i più alti in grado quella notte assieme a Murgolo, Andreassi e allo scomparso La Barbera) insistono a scaricare le responsabilità sui vertici della digos e della mobile genovesi. L'ex ministro Alfredo Biondi, il più noto dei difensori (suo cliente il vicequestore Troiani), contesta i metodi dell'accusa che s'è opposta all'utilizzo di un video nell'interrogatorio (in programma per il prossimo round del 2 ottobre) del vicequestore Di Sarro. Un suo collega meno noto, tale Porziani, ascende agli onori della cronaca per una fantasiosa versione sulle violenze dovute, a suo dire, a una spaccatura nel movimento (in sostanza si sarebbero pestati tra loro!!), prima di quella che l'allora portavoce di De Gennaro definì «una normale perquisizione» mentre sbarrava il passo a legali e parlamentari che volevano controllare quanto avveniva nel dormitorio dei manifestanti. «A Genova, e prima ancora a Napoli - ricorda il senatore Prc, Gigi Malabarba - la repressione ebbe
una regia, quella di De Gennaro. Sarebbe ora che una vera commissione d'inchiesta approdi in aula anche per riaprire il caso, troppo rapidamente archiviato, dell'uccisione di Carlo Giuliani». Per il comitato Verità e giustizia per Genova, che raccoglie le vittime di quelle violenze, c'è il rischio che i dirigenti indagati - e quasi tutti promossi - facciano pesare sul gip «tutto il potere che rappresentano». La loro immediata sospensione dal servizio in caso di rinvio a giudizio sarebbe «un atto dovuto», suggerisce Alfio Nicotra, tra i portavoce del Gsf all'epoca della «crudele spedizione punitiva pianificata a tavolino che qualcuno molto in alto autorizzò e continua ancora a sedere al suo posto». La sospensione sarebbe «un atto ragionevole», aggiunge il disobbediente campano Caruso sottoposto da mesi all'obbligo di firma perché indagato nell'ambito del teorema di Cosenza, costruito proprio come contrappeso alle inchieste sulle violenze di polizia.

Checchino Antonini

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