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26.01.06

Manifesto e Liberazione: Giorno nero per la polizia

il manifesto

G8, giorno nero per la polizia
I «Canterini boys» Al processo per i fatti della Diaz un video e due testimonianze inchiodano gli agenti del primo reparto mobile romano protagonista della mattanza. Il mediattivista inglese Mark Covell rievoca il pestaggio: mi colpirono fino a svenire
SIMONE PIERANNI
GENOVA
Tre attacchi in pochi minuti: prima manganellate ovunque, poi colpi sulla testa, infine calci in faccia. Il risultato è la rottura di otto costole, la foratura di un polmone, la frattura di una mano, un trauma cranico, e varie contusioni: dodici giorni in ospedale in stato di arresto e piantonato da uomini armati, poi ospitato dal consolato britannico, sotto protezione diplomatica, fino al 4 agosto 2001. E' successo a Mark Covell - mediattivista britannico, ascoltato ieri in aula - pochi istanti prima dell'irruzione alla Diaz da parte delle forze dell'ordine. Giunto a Genova per seguire le manifestazioni contro il G8, Covell si stabilisce nel media center della Pascoli. A tarda sera del 21 luglio entra per la prima volta, insieme a un amico, nella Diaz; poco dopo qualcuno avverte dell'arrivo della polizia «per una retata». Covell prova a scappare: il suo amico riesce a rifugiarsi nella Pascoli, lui no. Poco dopo è circondato da cinque poliziotti: «Urlavo "sono un giornalista", ma un poliziotto con il manganello mi ha detto "tu sei un black bloc e noi ammazzeremo i black bloc". Mi hanno picchiato in ogni parte del corpo». Seguiranno altre due aggressioni, nell'arco temporale che va dall'arrivo della polizia, con il ricordo delle camionette, fino all'entrata nella Diaz. La «perquisizione» si manifesta fin da subito nella sua violenta foga: «Provai a correre per scappare, ma non c'era modo di fuggire; mi manganellarono alle ginocchia. Temevo per la mia vita». Non è ancora finita, perché ci sarà un terzo drammatico attacco: «Sono arrivati altri poliziotti che mi hanno raggiunto e mi hanno dato dei calci nei denti e colpi dietro la testa. A quel punto ho perso conoscenza». Fino a quel momento Covell vede i movimenti concitati dei poliziotti: nel video mostrato in aula sono riconoscibili gli agenti del settimo nucleo del primo reparto mobile di Roma, allora capeggiato da Vincenzo Canterini. Non è un caso che l'avvocato più agitato sia proprio Silvio Romanelli, difensore di Canterini e dei suoi uomini.

Nonostante il video costituisca una prova documentale incontestabile, la difesa si appella a questioni tecniche: il controesame dell'avvocato infatti è una prolungata contestazione alle dichiarazioni rese in precedenza da Covell, con toni bruschi e provocatori, specie quando chiede al teste «se sa leggere».

Le responsabilità dei «Canterini boys» - dieci dei quali rinviati a giudizio per i pestaggi - sono sottolineate anche dal terzo teste della giornata, Steffen Sibler, manifestante tedesco picchiato al primo piano della scuola Diaz. Se la deposizione di Covell è un racconto drammatico circa le reali intenzioni dei poliziotti intervenuti, è processualmente rilevante anche la sobria narrazione del ragazzo tedesco. Durante l'esame ha infatti descritto e riconosciuto l'uniforme del settimo nucleo, differente dalle altre divise per il famoso cinturone nero e per il «tonfa» in dotazione, sottolineando inoltre la presenza di un «graduato», giunto sul posto per placare la violenza dei suoi sottoposti, oltre a confermare la versioni di altre vittime del pestaggio già ascoltate in aula.

Per quanto riguarda la posizione di Covell - che dovrà ancora essere operato alla spina dorsale e a una mano - esiste anche un procedimento contro ignoti per tentato omicidio. Il suo avvocato, Massimo Pastore, ha sottolineato l'omertà delle forze dell'ordine per i riconoscimenti. Dal pm Enrico Zucca, in una delle pause del processo, una frecciata all'atteggiamento odierno del collegio difensivo dei poliziotti: «Guardano il dito, mentre noi mostriamo la luna».
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liberazione

Ripreso il processo con il test Mark Covell, mediattivista inglese
Diaz, il freelance accusa: «Mi hanno massacrato»
di Emanuela Del Frate e Marina Pagliuzza

Otto costole rotte, denti spezzati, una mano fratturata, un polmone bucato, 4 giorni di coma. Questo il ricordo che ha Mark Covell, il ferito più grave del G8 di Genova, a parte Carlo Giuliani, della notte cilena della scuola Diaz. Questo l'elenco che ha snocciolato di fronte ai giudici genovesi.

E' ripreso ieri mattina il processo per il massacro avvenuto nel dormitorio del GSF la notte del 21 luglio 2001. Quella di ieri era la ventunesima udienza, durante la quale sono stati ascoltati tre testi dell'accusa, primo tra tutti proprio Mark Covell, il mediattivista inglese che, in uno dei video più importanti presentati in aula, viene ripreso mentre soccombe alle manganellate e ai calci degli agenti che lo pestano ripetutamente nonostante lui fosse già a terra.

«Io urlavo "stampa, press, giornalista" - ha detto in aula Mark Covell - ma un poliziotto, agitando il manganello, mi disse in inglese che non ero un giornalista ma un black block, aggiungendo 'noi ammazziamo i black block».

Mark Covell venne letteralmente placcato dai poliziotti mentre usciva dalla scuola Diaz per tornare nel mediacenter nella scuola Pascoli. Lì venne picchiato finchè non perse conoscenza.

«Mi diedero manganellate alle ginocchia e poi collassai - ha spiegato ai giudici -; cominciai a notare i poliziotti, mi sembravano circa duecento e temetti per la mia vita. Mi chiedevo se sarei sopravvissuto». «Poi - ha aggiunto - un poliziotto si staccò dalla fila e mi diede un colpo alla spina dorsale. Urlai per il dolore. Mi ruppero otto costole, una mano e alcuni denti, avevo il sangue dentro e non riuscivo a respirare. Ricordo che i poliziotti ridevano e mi sembrava di essere trattato come un pallone da calcio. Poi un poliziotto mi tastò il polso; mi sembrava che stesse cercando di evitare ulteriori attacchi su di me, ma poi si allontanò. In seguito i colpi continuarono».

Alla fine, dopo l'ennesimo colpo, ma stavolta alla testa, Mark perse i sensi per risvegliarsi dopo 4 giorni di coma, piantonato all'ospedale San Martino e in stato di arresto. Il mediattivista ha ancora problemi di salute causati dal pestaggio di quella notte e, nel suo immediato futuro, dovrà sottoporsi ad altre operazioni alle dita della mano e alla spina dorsale.

Dave J. il secondo teste di ieri, è un mediattivista giornalista free lance britannico. Alla fine della tremenda giornata del 21 luglio andò a prendersi una birra in via Trento. Mentre tornava verso il complesso della Diaz, venne affiancato dai blindati della polizia. Dave ha raccontato di aver visto i poliziotti scendere ed incordonarsi. A quel punto scappò rifugiandosi al terzo piano del della scuola Pascoli. La sua testimonianza è continuata con la ricostruzione di ciò che è accaduto in quella parte del mediacenter: poliziotti che sequestravano VHS e minidisc, un giornalista della BBC portato via e persone minacciate con i manganelli. Il minimo che poteva accadere nella notte cilena della Diaz.

Il terzo teste è stato il tedesco Steffen S. che, durante l'irruzione, si trovava al primo piano, proprio davanti alle scale. Una posizione che gli permise di vedere chiaramente l'arrivo dei poliziotti che subito dopo avrebbero pestato tutti i presenti. La testimonianza di Steffen risulta essere importantissima ai fini processuali in quanto ha un preciso ricordo delle divise e dei manganelli usati dai poliziotti.

Riguardo alle prime ricorda perfettamente che non avevano alcun accessorio bianco. Tutti i reparti mobili hanno la cintura e la fondina bianca, tranne il settimo nucleo, quello di Canterini, i cui agenti hanno entrambi gli accessori scuri. Riguardo ai manganelli invece Steffen sembra essere ben informato: li riconosce infatti come tonfa per aver visto questo modello su una rivista americana. Tonfa che sono in dotazione soltanto del settimo nucleo, l'ormai tristemente famoso reparto di Canterini.

Steffen racconta inoltre di aver visto arrivare un ufficiale, anch'esso vestito di scuro che ha iniziato a gridare "Basta! Basta! ", mettendo così fine ai pestaggi.

La testimonianza di Steffen è identica sin nei particolari ai racconti degli altri testi ascoltati nelle precedenti udienze, presenti anch'essi al primo piano della scuola Diaz. Una testimonianza che permette, quindi, di delineare in modo definito la successione degli eventi in quella parte della famigerata scuola. Il processo per la Diaz continua oggi al Tribunale di Genova.

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