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13.11.08

Repubblica G8 ecco l'agente che porto' le molotv

Repubblica

"G8, ecco l´agente che portò le molotov"
Bertinotti: De Gennaro mi disse "la Diaz non è un´ambasciata". Oggi la sentenza
I pm hanno chiesto 109 anni per 28 imputati. Tra di loro l´ex Sisde Luperi e Gratteri, al vertice dell´Antiterrorismo
MASSIMO CALANDRI

GENOVA - Tutto suggerisce che la sentenza sarà letta al più tardi questa sera, in un tribunale che si annuncia affollato e sorvegliatissimo dalle forze dell´ordine. La prima sezione, presieduta da Gabrio Barone, si riunirà in camera di consiglio intorno a mezzogiorno. Per il blitz nella scuola Diaz gli imputati sono 29, tra agenti e super-poliziotti: i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini hanno chiesto la assoluzione di un commissario di cui «non è certa la presenza nell´istituto», e 28 condanne a complessivi 109 anni e 9 mesi di reclusione. Per aver massacrato delle persone inermi, per averle arrestate illegalmente e con prove false. Sotto accusa ci sono alcuni tra i nomi più noti del ministero dell´Interno: Francesco Gratteri, oggi al vertice dell´Antiterrorismo, Giovanni Luperi, attuale capo dell´Aisi, l´ex Sisde, e Gilberto Caldarozzi, tra i protagonisti della cattura di Bernardo Provenzano. Intanto Fausto Bertinotti racconta una sua telefonata con il capo della polizia di allora, Gianni De Gennaro: "Cosa vuole che faccia, quella non e´ un´ambasciata... Non c´è extraterritorialità. Quello che sta avvenendo è una sorta di controllo del territorio. Non le posso dire altro, ma non mi può chiedere una protezione come fosse un´ambasciata". Bertinotti, che era allora segretario di Rifondazione Comunista, dà la sua testimonianza in un film-inchiesta di Beppe Cremagnani, Enrico Deaglio e Mario Portanova dal titolo "Fare un golpe e farla franca". Un estratto dell´intervista è on line sul sito Repubblica.it.
Stamani saranno presenti molte delle 93 vittime. Tra di loro Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni. Che nel 2006, nell´aula del tribunale di Genova, mentre raccontava di come i poliziotti l´avevano quasi ammazzato a calci e bastonate, ha scorto il sorriso sprezzante di alcuni difensori degli imputati. Non riusciva a trattenere le lacrime, e intanto gli altri ridevano. La rabbia, la frustrazione, e un´inquietudine improvvisa: quella di non riuscire un giorno ad avere giustizia. È così che ha deciso di trasformarsi in un detective. Ha raccolto tutto il materiale video e fotografico della notte maledetta, è tornato nella sua città e con la collaborazione di una quindicina di tecnici ha lavorato giorno e notte a quella che ha ribattezzato la London Investigation. Oggi è in grado di raccontare tutto il percorso fatto dalle molotov. Le due bottiglie incendiarie portate dalle forze dell´ordine all´interno della Diaz dopo il blitz per «giustificare» il massacro e l´arresto, sostenendo che i no-global erano in realtà pericolosi Black Bloc. La «regina» delle prove false. Covell è riuscito ad isolare il fotogramma-simbolo di una delle pagine più nere nella storia della Polizia di Stato: il cortile della scuola, le sagome di due funzionari che si allontanano, e sullo sfondo a sinistra il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. Di spalle, in borghese, con un casco protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Il sacchetto con le bottiglie.
Le fotografie sono state depositate recentemente dalle parte civili e non fanno che reiterare le accuse della procura. «Voglio giustizia. Vogliamo giustizia. Perché le cose che sono accadute a noi della Diaz non debbano accadere a voi, un giorno». Mark Covell ? il giornalista, la vittima, il detective ? mostra ora una fotografia dietro l´altra. Indica questo e quel video, analizza ogni secondo di quei minuti drammatici e cita le rare testimonianze degli imputati. Mette insieme fotografie, filmati e verbali: «Questo è Gratteri che telefona e si avvicina all´ingresso. Ora vedete? Mortola al cellulare. Burgio, l´agente che materialmente porta le molotov fino al cortile della scuola. Poi Troiani che parla con gli altri super-poliziotti. Luperi che mostra il sacchetto. Ed eccolo ancora qui, dentro la scuola: spuntano le molotov, stanno per sistemarle su quel lenzuolo dove metteranno in mostra tutte le cose sequestrate». Luperi giurò di aver chiamato una funzionaria, Daniela Mengoni. Affidò a lei, nel cortile, le molotov. La Mengoni a sua volta disse di averle passate ad un misterioso ispettore della Digos di Napoli. Uno che non fu mai identificato. «Ma la Mengoni non appare mai nel cortile. E anche quella dell´ispettore di Napoli, che nessuno ha identificato, è una sporca bugia».
Un gruppo di «celerini» lo aveva assalito mentre si trovava in via Battisti, a cinquanta metri dalla scuola. Cominciava la «carica» alla Diaz. Inutile mostrare l´accredito da giornalista. Era rimasto agonizzante sulla strada per venti minuti. Quasi tutti i funzionari sotto accusa raccontarono di non essersi resi conto di quello che stava accadendo dentro la scuola. Però Mark si rifiutarono di vederlo. Più tardi in ospedale fu arrestato. Sostenendo che era dentro la scuola. Stamani vuole giustizia. E non si arrende. «Ho trovato altre immagini. E troverò anche il nome di quelli che mi volevano uccidere».

La denuncia: la polizia cercò di usare le maniere forti per portarli via

Il racconto dei medici-eroi "Così salvammo i feriti gravi"
Tra le vittime vi era il giornalista inglese Covell: "Era in stato di incoscienza"
GENOVA - «Quella notte i poliziotti si presentarono al pronto soccorso poco dopo i ricoveri. Volevano portare via tutti i feriti della Diaz, senza preoccuparsi delle loro condizioni. Cercarono di usare le maniere forti, ma ci rifiutammo di consegnare loro i più gravi». Medici ed infermieri dell´ospedale di genovese di San Martino ricordano la sera dell´assalto alla Diaz. E il comportamento delle forze dell´ordine. Tra di loro Giorgio Giordano, il dottore che soccorse l´inglese Mark Covell. «Era gravissimo, in stato di semi-incoscienza. Arrivarono gli agenti in divisa, dissero che era in stato di arresto. Volevano andarsene con lui. Una follia. Ci opponemmo a quello che sembrava quasi essere un sequestro di persona. Formammo una sorta di cordone umano, tra medici ed infermieri, e riuscimmo a resistere». Covell sarebbe rimasto ricoverato per altre due settimane. Volevano portarsi via anche Dolores Villlamor Herrero, una signora spagnola di settant´anni. L´ospite più anziano della scuola. Che alzò le mani per ripararsi dalle manganellate, ma un colpo dei famigerati "tonfa" le spezzò l´avambraccio destro. Dolores, minuta, i capelli bianchi, ricorda con orrore quegli istanti. «Avevo il terrore che mi portassero via. E continuai a convivere con la paura per tutti i giorni del ricovero». La maggior parte dei 61 feriti fu però costretta a lasciare il San Martino in piena notte. Li accompagnarono tutti nel "centro di detenzione temporanea" di Bolzaneto, la caserma del Reparto Mobile. La prigione del G8. Ad attenderli, per il cosiddetto "triage", c´era Giacomo Toccafondi, il medico poi condannato ad un anno e due mesi di reclusione. Quello che avevano ribattezzato "il dottor Mengele".
(m. cal.)


Identificato l´agente ripreso mentre infieriva a manganellate
Dopo 7 anni ha un nome il poliziotto-picchiatore
Nessun collega lo aveva denunciato sebbene fosse riconoscibile per la coda di cavallo
GENOVA - Il fascicolo è stato aperto nelle settimane passate, a sette anni e passa dai fatti. A sorpresa nei giorni scorsi è stato interrogato in procura l´attuale capo della Digos genovese, Giuseppe Gonan. E intanto ci sarebbero già i primi indagati. Uno è Coda di Cavallo, l´agente in borghese che fu ripreso a lungo mentre ai piani superiori della scuola Di lo inquadrava in primo piano aveva fatto il giro di tutte le questure d´Italia, il volto era riconoscibilissimo e poi c´era quell´inconfondibile capigliatura. I magistrati avevano chiesto alle forze dell´ordine: come si chiama il vostro collega? I vertici del Ministero ? l´allora e l´attuale capo della polizia: Gianni De Gennaro, Antonio Manganelli ? avevano garantito personalmente ai pubblici ministeri la massima collaborazione nelle indagini. Ma dal luglio 2001 nessuno ha mai identificato il collega, nessuno si è fatto avanti. Fino appunto a qualche settimana fa, quando i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini sono venuti a capo dell´enigma. Perché Coda di Cavallo aveva avuto l´arroganza di presentarsi in aula ? con i capelli debitamente tagliati ? ed assistere ad alcune udienze mischiato tra il pubblico. E dunque, l´agente-picchiatore ha finalmente un nome. Si tratterebbe di un sottufficiale della Digos del capoluogo ligure, proprio l´ufficio che era stato incaricato di identificare i circa duecento uomini della irruzione. L´ultima beffa, hanno commentato amaramente i magistrati. Ma anche la dimostrazione che il teorema della «doppia polizia» non è mai esistito: qualcuno nella notte della Diaz voleva distinguere tra buoni e cattivi, tra investigatori e «celerini». L´omertà ha invece finito per omologarli tutti.
(m. cal.)

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