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11.02.09

Repubblica nazionale "I poliziotti della Diaz certi dell´impunita'"

epubblica Nazionale

"I poliziotti della Diaz certi dell´impunita'"
Violenze al G8, le motivazioni della sentenza. "Ma contro di loro solo
indizi"
I super-agenti non sapevano di mentire: erano stati tratti in inganno

MASSIMO CALANDRI

GENOVA - Inconsapevolmente bugiardi, quindi assolti. Sottoscrissero il
falso, accreditando una montagna di balle per trasformare 93 no-global
innocenti in una banda di terroristi e giustificarne prima il massacro,
poi la galera. Ma i super-poliziotti della Diaz non sapevano di mentire:
erano stati tratti in inganno. Da chi e come? Mistero. Contro i presunti
responsabili non sono state raccolte prove ma «semplici indizi, per di più
non univoci». Semplici indizi, perché la Polizia di Stato non ha voluto
indagare al proprio interno a causa di «un malinteso senso di tutela
dell´onore dell´istituzione». La prima sezione del tribunale di Genova ha
motivato la sentenza del novembre passato, quella che ha portato alla
condanna di solo 13 dei 29 imputati per lo sciagurato blitz nella scuola
del G8: un documento di 372 pagine che rimanda nuove inquietudini invece
di dissiparle, e rinfocola le polemiche scontentando tutti. Il presidente
Gabrio Barone ha sottolineato che quanto accaduto la notte del 21 luglio
2001 è «inaccettabile in uno stato di diritto, proprio perché posto in
essere proprio da coloro che dovrebbero essere i tutori dell´ordine e
della legalità ». Fu una violenza barbara, commessa da chi era certo
dell´impunità . Ma non si trattò di una rappresaglia dopo la frustrante
guerriglia urbana dei giorni precedenti. Il tribunale ha sottolineato il
cinico pestaggio degli agenti del Reparto Mobile, ha ribadito che durante
e dopo qualcuno truccò le carte. Tuttavia si è limitato ad argomentare le
condanne di Vincenzo Canterini, allora capo della «Celere» romana, e del
vicequestore Pietro Troiani, che mostrò ai colleghi le molotov sostenendo
di averle trovate nel cortile dell´istituto. Non ha invece chiarito chi
portò le bottiglie incendiarie nella scuola, e nemmeno chi «ingannò» i
quindici che firmarono quel verbale d´arresto farcito di prove fasulle,
costruite e raccontate da altri. «Se e' vero da un lato che gli elementi
dell´accusa possono determinare il sospetto circa la consapevolezza da
parte degli imputati della falsita' del ritrovamento delle molotov
all´interno della scuola – scrive Barone -, e' anche vero, dall´altro, che
non possono valere a provarla con la dovuta certezza, trattandosi di
semplici indizi non univoci».
«Non c´erano le prove», aveva commentato Barone dopo la sentenza. A questa
fragilità della tesi accusatoria avrebbe contribuito la stessa polizia,
che «non ha proceduto con la massima efficienza nelle indagini volte ad
individuare gli autori e ad accertare le singole responsabilita' . (...)
Tutto questo dimostra quanto meno un certo distacco rispetto all´indagine
in corso. La giustificazione di un simile atteggiamento potrebbe
rinvenirsi in un malinteso senso di tutela dell´onore dell´istituzione».
La riflessione del tribunale suona clamorosa, ma l´eco si perde nello
stomaco di ferro del Ministero dell´Interno. Che ha promosso tutti i
protagonisti di quella notte nera.

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