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29.02.04

Secolo xix: disobbedienti in aula e l'arma segreta della difesa

http://www.ilsecoloxix.it/Secolo_notizia01OK.asp?IDNotizia=169798&IDCategoria=1367
INCHIESTA DIAZ L'arma segreta della difesa
GenovaUn software sofisticatissimo, usato anche dall'Fbi. Un programma
capace di riconoscere la storia di un documento
riversato su un floppy-disc. Dettagli molto tecnici, che chiariscono il
contenuto dell'esposto di alcuni avvocati difensori dei
poliziotti sotto accusa per il blitz della scuola Diaz. E' questa l'arma
segreta che i legali si preparano a utilizzare contro la
procura della Repubblica, quella procura che ha chiesto il rinvio a
giudizio di dirigenti, funzionari e agenti di polizia. Perché il
software spione avrebbe dimostrato che alcuni documenti protetti dal
segreto istruttorio furono invece spediti a «destinatari
sconosciuti, ma sicuramente persone che non avevano nulla a che fare con
l'inchiesta», dal computer di uno dei magistrati del
pool G8. Uno degli atti contestati dai difensori alla procura è un
interrogatorio di Gilberto Caldarozzi, all'epoca vice direttore
dello Sco. C'è di più: trapela che una perizia calligrafica «dimostra
come la firma di una segretaria, unica persona autorizzata a
trascrivere i verbali, sia stata in realtà apposta da quattro persone
diverse, pur essendo sempre identico il nome». Emergono
così, come emerge dagli ultimi summit dei difensori, «un preoccupante
quadro investigativo. Molte cose nel lavoro della
procura non quadrano». Delle presunte "distorsioni" gli avvocati hanno
anche parlato, nei giorni scorsi, con il procuratore
aggiunto Giancarlo Pellegrino. E' stata, finora, una richiesta informale
di chiarimenti. Ora diventerà un esposto.
M. Men.
29/02/2004
http://www.ilsecoloxix.it/Secolo_notizia01OK.asp?IDNotizia=169801&IDCategoria=1367
I Disobbedienti: tutti in aula
Alta tensione a due giorni dalla prima udienza del dibattimento a carico
di 26 presunti black bloc. Polemica tra Agnoletto e il
sindaco
«Il nostro corteo dovrà arrivare a Palazzo di giustizia»
Genova Cresce la tensione in città per il processo di martedì prossimo a
carico di 26 manifestanti, accusati di devastazione e
saccheggio nei giorni del G8. Il Palazzo di giustizia sarà blindato,
limitati gli accessi al pubblico e anche ai giornalisti e alle
telecamere (disposizioni stigmatizzate ieri dall'Associazione ligure e
dal gruppo cronisti), potenziate le forze dell'ordine (in
tutto, 700 uomini). La tensione è confermata dalle parole degli stessi
magistrati. «Il clima è brutto, il G8 è ancora una ferita
aperta», dichiara il procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino. Conferma
Francesco Lalla, procuratore capo: «C'è molta
attesa e anche tensione. Ci saranno, com'è giusto, adeguate misure di
sicurezza». Ma il deputato Paolo Cento (Verdi)
ammonisce: «Genova non può rivivere lo stesso "Stato di polizia" che fu
instaurato al G8».
I Disobbedienti hanno ribadito ieri, all'incontro organizzato nella sala
del consiglio comunale dai comitati Verità e giustizia e
Piazza Carlo Giuliani, di voler essere presenti: «Dobbiamo rivendicare
la pubblicità del processo». «C'è l'esigenza - dicono i
portavoce - che il corteo tocchi l'area del tribunale, che raggiunga
coloro che vogliono presenziare al processo e che saranno
lì per occupare i 100 posti disponibili». I manifestanti, a gruppi di
cento, si daranno il cambio, mettendo a dura prova la
macchina della sicurezza.
Le anime del movimento si sono misurate ieri nella sala rossa di Palazzo
Tursi, in un concerto a più voci in cui si sono alternati
fra gli altri Vittorio Agnoletto, Piero Bernocchi dei Cobas, i
parlamentari Francesco Martone (Verdi) e Graziella Mascia
(Rifondazione), don Alessandro Santoro della comunità delle Piagge di
Firenze, Raffaella Bolini dell'Arci, Alessandra Mecozzi
della Fiom-Cgil, i consiglieri comunali di Rifondazione comunista (che è
uscita dalla giunta di centrosinistra per la decisione
della giunta Pericu di costituirsi parte civile nel processo).
Considerazione condivisa da tutti: è in atto da parte della
magistratura e di alcuni settori politici la volontà di «rovesciare la
verità, trasformare le vittime in carnefici». Meno facile
l'affermazione, ma ribadita poi in un documento nel pomeriggio, che non
si possono fare distinzioni tra "buoni" e "cattivi" nel
movimento.
Agnoletto ha lanciato un durissimo attacco al sindaco Pericu, parlando
di «assordante silenzio» dell'amministrazione comunale
in particolare sull'archiviazione del procedimento per la morte di Carlo
Giuliani e per la costituzione di parte civile. «Non esiste
alcun assordante silenzio», ha replicato Pericu, ricordando il documento
politico approvato dalla giunta giovedì scorso in cui si
afferma tra l'altro che non sono ancora state individuate «le
responsabilità politiche e tecniche per quella che appare, in uno
scenario reso tragico dalla morte di Carlo Giuliani, una vera e propria
sospensione delle garanzie costituzionali alla Diaz come
a Bolzaneto». Viene ribadita anche la richiesta della commissione
parlamentare: «La costituzione di parte civile non può essere
intesa come rimozione dei giorni del luglio 2001 o peggio come
identificazione tra violenti e movimenti anti-globalizzazione».
Haidi e Giuliano Giuliani, genitori di Carlo, incontreranno domani il
sindaco: stanno lavorando per ottenere un ulteriore atto del
Comune, in grado di rasserenare il clima. Ma nel movimento c'è chi non
condivide quest'ultima trattativa.
Andrea Plebe
29/02/2004
http://www.ilsecoloxix.it/Secolo_notizia01OK.asp?IDNotizia=169799&IDCategoria=1367
No global, solo la Diaz compatta il movimento
Bernocchi (Cobas): «Polizia violenta, basta parlare di black bloc»
Genova E' Piero Bernocchi, ruvido e viscerale leader dei Cobas, a dirlo
pubblicamente senza remore. «Caro Vittorio
Agnoletto e Giuliano Giuliani, i vostri interventi non mi sono piaciuti.
Continuate a discutere di black bloc e non-violenza,
quando è chiaro che il massacro della polizia fu preordinato e ci
sarebbe stato anche senza atti di vandalismo. Continuate a
dire che ci sono stati infiltrati fascisti e delle forze dell'ordine tra
chi mise in pratica le devastazioni: beh, fatemeli vedere».
Bernocchi rilancia: «Abbiamo piuttosto il coraggio di difendere i 26
imputati fino a prova contraria, se non altro perché la
condanna che loro rischiano è sproporzionata a quella che potrebbe
capitare ai poliziotti. E smettiamola di tirare per la coda il
sindaco Giuseppe Pericu, lui, come il centrosinistra italiano, ha
abbandonato il movimento. Buttano via il cane morto, quel
movimento di cui fino a ieri si sono in parte serviti e che oggi non gli
serve più. Scaricano noi, forse pensano anche che
possiamo danneggiare la loro campagna elettorale, e corrono verso le
classi benpensanti che credono ancora nei black bloc».
La critica del sindacalista parte da lontano, dagli stessi giorni del
G8. Ma quando dice che il black bloc non esiste non dà
ragione alle decine di anime del vecchio Genoa social forum - quelle
ambientalista, cattoliche e moderate, quelle delle donne e
degli scout - che hanno sbattuto la porta perché«molti nel movimento non
hanno ancora preso le distanze dai violenti». Anzi.
«A Napoli noi lasciammo venti persone ferite a terra, non volevamo
accadesse più. Volevamo tirare fuori i vecchi bastoni del
servizio d'ordine, ci dissero che non se ne parlava. Salvo poi tirarli
fuori di corsa dopo l'uccisione di Carlo Giuliani». E allo
stesso tempo i Cobas non abbracciano i Disobbedienti, ancora ricordando
la sfida alla provocazione più mediatica nei giorni
precedenti il summit del 2001. «Fassino - commenta Bernocchi - strilla
contro Francesco Caruso, dei Disobbedienti. Ora,
tutti sappiamo che a volte quel ragazzo parla a vanvera. Ma è indubbio
che chi non vota sul serio il ritiro delle truppe dall'Iraq
poi non può scendere in piazza con i pacifisti».
L'urlo di Bernocchi è lo spartiacque che segna le divisioni del
movimento, «quel branco di ingenui che per mesi parlò di zona
rossa mentre la polizia studiava il massacro a tavolino». Divisioni che
il documento comune siglato ieri pomeriggio non può
sanare. Divisioni anche interne alle varie sigle, esempio per tutti
l'Arci: la leader nazionale Raffaella Bolini condanna senza
appello le decisioni del sindaco Pericu, il presidente regionale
Massimiliano Morettini siede nella sua maggioranza consigliare e
si accontenta del documento di mediazione studiato dal correntone
diessino (in questi giorni schierato decisamente a sinistra).
Lo spartiacque segna l'esplosione della galassia no global. I cattolici
non si vedono più. Gli ambientalisti, specie quelli vicini a
Legambiente, hanno preso evidenti distanze; ma non altrettanto hanno
fatto i Verdi, che pure hanno taciuto sul "caso Pericu".
L'universo eco-pacifista-solidale di Rete Lilliput arriva alla meta
deflagrato e insiste sull'analisi dei black bloc che hanno
rovinato il corteo pacifico. La Fiom sembra un sindacato esterno alla
Cgil, come non sanno dove sedersi - anzi non si vedono
- gli esponenti di Rifondazione che non hanno gradito lo strappo da
Pericu dopo l'ordinanza.
Bastano due parole per riportare l'unità. Diaz e Bolzaneto. Condanna
corale, dura e senza possibile appello, per Stato e
polizia.
Giovanni Mari
29/02/2004
http://www.ilsecoloxix.it/Secolo_notizia01OK.asp?IDNotizia=169800&IDCategoria=1367
Il pm e i processi: «Il clima è brutto»
«Lavorando con serietà sui reati, scontentiamo tutti»
Genova «Il clima è brutto. Noi siamo magistrati, il nostro compito è
fare le inchieste e i processi e affonteremo anche questo
passaggio con serenità. Ma il clima è brutto e sarebbe ipocrita
nasconderlo. Brutto nel Paese, brutto a Genova, mentre si
avvicinano i processi del G8».
Giancarlo Pellegrino è procuratore aggiunto a Genova: uno dei due vice
del numero uno Francesco Lalla. Ma è soprattutto,
Pellegrino, uno dei nomi nobili della magistratura genovese. In questo
frangente in un ruolo emblematico. Ha coordinato il
lavoro del pool che ha indagato sugli scontri di piazza e ha mandato a
processo 26 black bloc italiani; siglerà anche la richiesta
di rinvio a giudizio dei poliziotti, per le vicende della Diaz e, tra
qualche settimana, per Bolzaneto. Uomo schivo e attento solo
agli atti giudiziari («rispondo per cortesia e per trasparenza, ma certo
non mai ho sollecitato interviste e apparizioni») accetta
di commentare le inchieste G8 con il Secolo XIX.
Un clima pesante...
«Assolutamente sì e non lo si può nascondere. Il G8 è ancora una ferita
aperta e questa frase, lo si dimostra in questi giorni,
non è retorica. Le fibrillazioni politiche, le false lettere su
Internet, le polemiche violentissime lo confermano».
Polemiche che a più riprese si sono concentrate sull'operato dei
magistrati genovesi.
«L'avevo detto all'inizio di questa vicenda: faremo tutto il possibile e
alla fine scontenteremo tutti. E' accaduto con il caso
Giuliani prima, ora con i processi per gli scontri di piazza e le
inchieste sulle forze dell'ordine. Però nessuno, al di là delle
emozioni, potrà mai dire che la procura ha voluto colpire questo o
quell'altro. Abbiamo lavorato sui reati e chi li ha commessi,
senza accanimenti e tesi precostituite».
Lei "firma" sia le inchieste sui violenti, sia quelle sulla polizia...
«Se la si vede dal nostro punto di vista, non c'è nulla di strano.
Ripeto: abbiamo perseguito dei reati».
Una delle accuse: la procura non ha indagato sul comportamento delle
forze dell'ordine nelle strade, sulle cariche, sugli ordini
ricevuti...
«Non è un compito che abbiamo omesso di svolgere. Abbiamo ritenuto che
tutte queste implicazioni facciano parte di un
dibattito politico. Ma non spetta alla magistratura chiarire questi
aspetti. Le scelte organizzative delle forze dell'ordine non
sono mai entrate deliberatamente nelle nostre inchieste. Lecito che ci
sia chi chiede un chiarimento politico».
Altra polemica: le inchieste sui devastatori che hanno vandalizzato la
città hanno dato risultati numericamente esigui.
«Abbiamo lavorato con serietà, questi sono i risultati. Era difficile
indagare perché la maggior parte dei violenti ha agito a volto
coperto. Questi sono i nostri risultati e, si sa, ci sono ancora alcune
decine di situazioni che stiamo vagliando per chiedere il
rinvio a giudizio. C'è stato un altro problema...».
Quale?
«La Digos di Genova, attraverso l'Interpol, ha inviato le foto dei
manifestanti violenti a tutte le polizie degli Stati da cui si
pensava provenissero. Nemmeno un riconoscimento è arrivato. Non uno».
Altra discussione, peraltro sollecitata dal procuratore generale
Domenico Porcelli all'inaugurazione dell'anno giudiziario: il
mancato collegamento con l'inchiesta di cosenza sulla Rete del Sud
Ribelle. Inchiesta che comprende anche molti fatti del G8
di Genova.
«Il collegamento non è mancato, ma è diversa l'interpretazione dei
reati. Se i colleghi cosentini ci invieranno materiale su
episodi che possiamo contestare secondo la nostra linea, lo faremo.
Linea che è: episodi precisi, dimostrabili con i
documenti».
L'avviso di conclusione delle indagini della procura di Cosenza adombra,
ad esempio, il fatto che tra le Tute Bianche di Luca
Casarini e i devastatori ci fosse un connubio, un accordo, una
pianificazione a compiere devastazioni... Casarini avrebbe
incontrato i capi dei black bloc...
«Questa tranche d'inchiesta non è ancora conclusa. Posso dire solo che
questa interpretazione contrasta con i dati che
abbiamo raccolto noi. Nel "movimento", nei giorni precedenti al G8, c'è
stata una profonda spaccatura. E l'incontro di
Casarini, se mai c'è stato, non mirava a organizzare un fronte comune
per compiere devastazioni. Semmai il contrario».
L'inchiesta sulla Diaz. Con una scelta precisa: indicare nella richiesta
di rinvio a giudizio solo i reati contestati e le prove
raccolte, senza motivazioni.
«Abbiamo fatto quello che prescrive il codice».
Appare una scelta irrituale...
«E' quel che prescrive il codice. Proprio perché noi non vogliamo trarre
conclusioni preconcette: abbiamo indicato i reati
secondo noi commessi e le prove raccolte a sostegno della nostra tesi.
Anticipo però che, in sede di udienza preliminare,
presenteremo una memoria della procura al giudice, per aiutarlo a
orientarsi tra il materiale presentato. Questa è stata la
nostra scelta. E si comprenderà a quel punto, ne sono convinto, la
validità del nostro lavoro».
Marco Menduni
29/02/2004

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