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11.02.09

secolo xix G8 2001: violenza e senso dell’impunità

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G8 2001: violenza e senso dell’impunità
Alla Diaz: «Pestaggi disumani»
10 febbraio 2009| Marcello Zinola


L’irruzione nella scuola del Social Forum fu ingiustificata e violenta, ma non frutto di un complotto o una spedizione punitiva. Sui vertici della Polizia solo indizi, ma non prova certa o consapevolezza. Indagini “tiepide” della Polizia. Senso dell’impunità e violenza: «non può trovare giustificazione se non nella consapevolezza di poter agire senza alcuna conseguenza»

Non ci fu un complotto contro gli occupanti (arrestati, in 93, pestati a sangue, due in fin di vita per alcuni giorni, uno con la milza spappolata, una sessantina i ricoverati in ospedale poi accusati di associazione a delinquere, assolti in istruttoria) la Diaz mentre erano nel sonno la notte dell’ultimo giorno del G8 del 2001 a Genova.

Ma la polizia si macchiò di violenze inaccettabili in uno stato di diritto godendo, nei fatti, di una sorta di impunità dimostrata poi dal “distacco” con cui la stessa polizia seguì le indagini, offrendo l’impressione di non volere andare a fondo. Al di là delle affermazioni che, in una lettera aperta , fece l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro (oggi sotto processo a Genova per la vicenda delle deposizioni ritenute falsate nell’indagine sul G8) in merito alle garanzie su una indagine interna e amministrativa e di piena collaborazione con la magistratura.
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Insomma a leggere le 400 pagine di motivazioni della sentenza sull’irruzione alla Diaz (16 condanne, 13 assoluzioni) nella scuola Diaz sede del Genoa Social Forum e nel vicino Press Center che ospitava anche il Legal Forum con la distruzione di computer archivi e altro emerge questa sintesi: le violenze nella scuola-dormitorio non furono figlie di «un complotto in danno degli occupanti», o la caratteristica di una «spedizione punitiva», «di rappresaglia».

La sentenza assolse tra gli altri i vertici della Polizia, e in particolare Giovanni Luperi ex vicedirettore Ucigos e Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco con 13 condanne (unico vertice sanzionato, il responsabile del reparto mobile di Roma, Canterini), per un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione.

Cosa dicono i giudici? «A parte la carenza di prove concrete appare assai difficile che un simile progetto possa essere stato organizzato e portato a compimento con l’accordo di un numero così rilevante di dirigenti, funzionari e operatori della polizia (....) I dirigenti - per i giudici, era possibile - fossero convinti che l’operazione avrebbe avuto un rilevante successo e si sarebbe conclusa con l’arresto dei responsabili delle violenze e delle devastazioni dei giorni precedenti».
Le false molotov

I tre dirigenti nazionali, La Barbera (deceduto nel corso dle processo ndr), Luperi e Gratteri avrebbero avvisato i giornalisti se non avessero avuto tale certezza anche se poi i tentativi di depistaggio - mai oggetto di alcune indagine specifica - ebbero come protagonista proprio l’ufficio stampa del ministero già nelle prime ore successive all’operazione quando vennero definite come tracce di pomodoro le macchie di sangue, ferite pregresse quelle riportate dai 63 ricoverati, culminate con l’esibizione delle due molotov durante na conferenza stampa in cui vennero vietate le domande e la polizia si limitò a leggere uno scorsno comunicato stampa con l’allora portavoce della Questura di Genova, assistita dal principale responsabile della comunicazione ministeriale, Robero Sgalla.

Sulle violenze i giudici scrivono anche, in tema di certezza della impunità, che «se non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni è invece certo che la loro propagazione così diffusa e pressochè contemporanea presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori che comunque non li avrebbero denunciati. La violenza quindi si giustifica con la certezza dell’impunità: «non può trovare giustificazione se non nella consapevolezza di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità». Un concetto quella della impunità e delle indagini tiepide dei vertici sottolineate anche nelle motivazioni della sentenza sul carcere provvisorio realizzato nella caserma del reparto mobile di Bolzaneto.

Per i giudici non ci sono prove che l’ex direttore dello Sco Francesco Gratteri e l’ex direttore dell’Ucigos Giovanni Luperi (entrambi assolti) fossero consapevoli di quanto stava avvenendo nella scuola Diaz, mentre il comportamento omissivo e il silenzio sulle violenze degli agenti del VII nucleo, di Vincenzo Canterini (ex dirigente reparto mobile di Roma, condannato a quattro anni) e di Michelangelo Fournier (ex vice dirigente reparto mobile di Roma, condannato a due anni) confermano l’esistenza di una sorta di accordo volto a garantire l’impunità di questi ultimi in caso di comportamenti illeciti e violenti.

È quanto si spiega nella motivazione della sentenza per l’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 del 2001. «Non può ritenersi provato che Luperi abbia assistito alla fase iniziale dell’aggressione e agli atti di violenza e non può escludersi che, come da lui dichiarato, possa aver ritenuto che gli agenti stessero terminando una legittima operazione per superare un atto di resistenza», scrivono i giudici che rilevano analoghe osservazioni rispetto a Gratteri e sottolineano come «la situazione, dopo giorni di violenze e di `guerriglia urbana´, era tale che nulla era più in grado di stupire o essere giudicato secondo criteri logici o normali».

Le indagini della polizia? Distaccate. I giudici evidenziano «Un atteggiamento di distacco» da parte della polizia «nell’individuare gli autori delle violenze alla Diaz e nell’accertare le singole responsabilità, ha contribuito ad avvalorare la sensazione di una certa volontà di nascondere fatti e responsabilità di maggiore importanza che seppure infondata o comunque rimasta del tutto sfornita di prove ha caratterizzato negativamente tutto il procedimento sotto il profilo probatorio».

Nel documento si citano esempi di questo atteggiamento, come «la mancata identificazione dell’agente con la coda di cavallo; l’invio al pm per la loro identificazione delle foto dei funzionari all’atto del loro ingresso in polizia anzichè quelle recenti; il fatto che per individuare gli agenti entrati alla Diaz si sia dovuti ricorrere ad indagini peritale».

«La giustificazione di un simile atteggiamento - scrivono i giudici - potrebbe rinvenirsi in un malinteso senso di tutela dell’onore dell’istituzione, come del resto dichiarato da Fournier nel giustificarsi per non aver subito riferito l’aggressione a cui aveva assistito». Inoltre, si osserva: «la mancata individuazione delle singole responsabilità potrebbe ledere l’onore di tutta la polizia». La scure del ministero cala sui precari della scuola: ventimila docenti in meno negli ultimi due anni, altri 28 mila entro dicembre. Una ricerca che la Uil Scuola ha condotto sull’andamento dei precari della scuola negli ultimi cinque anni, profila un futuro nero.

Una parte preponderante delle motivazioni della sentenza - emessa lo scorso 13 novembre - è dedicata al capitolo delle “false” molotov, attribuite agli arrestati e pestati, poi tutti assolti. I giudici parlano di «grande confusione» e concludono l’analisi dicendo che la firma sui verbali avvenne, «ma non erano consapevoli di quanto accaduto».

Importanti i paragrafi sul livello di violenza tenuto dalle forze dell’ordine. «Quanto accadde all’interno della scuola Diaz Pertini - scrivono ancora i giudici - fu al di fuori di ogni principio di umanità, oltre che di ogni regola ed ogni previsione normativa, anche se fu disposta in presenza dei presupposti di legge». Ancora: «Quanto avvenuto in tutti i piani dell’edificio scolastico con numerosi feriti, di cui diversi anche gravi, al punto da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la situazione ad una “macelleria messicana” appare di notevole gravità sia sotto il profilo umano che legale. In uno stato di diritto non è accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell’ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tali entità, anche se in situazioni di particolare stress».

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