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21.11.03

Secolo xix: G8, la procura in imbarazzo

Il giorno dopo la notizia del "filo diretto" tra il pm di turno e l'ex capo della Digos, pubblicata ieri dal Secolo XIX
G8, la procura in imbarazzo
Lalla: siamo spiazzati. Zucca: ho mal di stomaco

Genova. «Non è strano che la polizia e il magistrato di turno si siano sentiti, la notte del blitz alla scuola Diaz. Certo, il numero delle' telefonate e la loro durata ha spiazzato». S'invola giù verso il garage, il procuratore della Repubblica Francesco Lalla. Supersportivo da sempre, ha i garretti buoni ma non riesce a distaccare gli inseguitori. Casco in testa, puntualizza: «Ci saranno approfondimenti e provvedimenti. Il collega Pinto ha già consegnato un'ampia relazione sulle vicende di quella notte». E' di nuovo il sostituto procuratore Francesco Pinto a tener banco. Prima il suo nome finisce nella richiesta di alcuni avvocati, che difendono i poliziotti inquisiti, di spostare il processo G8 a Torino. Poi, come anticipato ieri dai Secoto XIX, spunta il giallo delle telefonate. Dei contatti intercorsi la notte del blitz (93 arresti e decine di feriti nella sede del Social Forum) tra il numero uno della Digos, Spartaco Mortola e lo stesso Pinto, di turno la notte del blitz. Alla procura era sempre risultata un'unica comunicazione, e molto approssimativa. Così Pinto aveva spiegato ai colleghi: di esser stato informato dell'accaduto da una sola, sommaria telefonata. Fu anche questo il motivo per cui non ritenne di raggiungere per tempo la scuola Diaz o la questura. Mortola era stato redarguito durante un interrogatorio, dal pm Enrico Zucca, un altro dei magistrati del pool G8, proprio su questo punto. Mortola aveva spiegato di aver parlato più volte con Pinto, Zucca gli aveva risposto: «A me il collega ha detto diversamente». Ora si scopre che tra i due, le telefonate furono cinque, per quasi mezz'ora di conversazione. Lo ribadisce una relazione della
squadra mobile consegnata alla procura: l'analisi tutte le telefonate giunte e partite dal cellulare privato di Pinto. Vediamole: il traffico generato in quella notte dal pm raggiunge una durata totale di 49 minuti e 57 secondi, di cui 22 minuti e 51 secondi con utenze cellulari in uso alla polizia giudiziaria e 27 minuti e 6 secondi in conversazione da apparecchi fissi. Pinto ha avuto complessivamente 14 contatti, di cui 6 con l'utenza mobile in uso a Perugini (vicecapo della Digos), due con l'utenza urbana diretta di Mortola, due con un'utenza mobile della questura di Genova, sempre in uso a Mortola, tre con l'utenza fissa del Reparto Mobile di Genova, una con il centralino della questura. E il pm Zucca? Esce da palazzo di Giustizia in tutta fretta, annunciando: «Vado a mangiarmi un riso in bianco, che ho mal di stomaco». Poi, tallonato, spiega: «II collega Pinto ha sicuramente voluto dire, quando ha parlato di una telefonata, di un
solo contatto realmente significativo. Pinto è anche finito sotto procedimento disciplinare (è stato poi assolto dal Csm, ndr) per alcune dichiarazioni critiche nei confronti delle forze dell'ordine al G8. E' assurdo che ora qualcuno cerchi di insinuare una collusione, o almeno un tacito accordo, con chi ha falsificato le prove per giustificare l'arresto di 93 no-global».
Marco Menduni


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Le chiamate

Telefonate fatte dal Dirigente della DIGOS Spartaco Mortola e giunte al cellulare privato del PM Francesco Pinto
ore 00,33 attraverso il centralino della questura - durata 1 min. e 53 sec.
ore 00,42 da un cellulare in uso a Mortola - durata 5 min. e 41 sec.
ore 00,58 da un cellulare in uso a Mortola - durata 2 min. e 56 sec.
ore 01,54 dall'ufficio del Dirigente della DIGOS in Questura - durata 5 min. e 11 sec.
ore 02,52 dall'ufficio del Dirigente della DIGOS in Questura - durata 9 min. e 45 sec.

Telefonate partite dal cellulare privato del PM Francesco Pinto e dirette al Vicedirigente della DIGOS Alessandro Perugini
ore 00,18 - durata 1 min. e 7 sec.
ore 00,36 - durata 21 sec.
ore 01,16 - durata 1 min. e 41 sec.
ore 01,37 - durata 59 sec.
ore 01,51 - durata 59 sec.

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l'intervista
Pinto: "Era tardi per dirigermi alla Diaz
Troppe chiamate così usai il mio telefono"
Dottor Pinto, la notte della scuola Diaz ci furono insistenti telefonate tra lei e la polizia. Fu una semplice comunicazione sommaria?
«Non ho mai detto che ci fu una sola telefonata. Meglio: intendevo che ci fu un solo colloquio davvero significativo. Tutte le altre furono comunicazioni in cui si parlava di altri aspetti della vicenda Diaz».
Che cosa intende dire?
«Intendo che, quando un giornalista e un avvocato mi avvertirono che alla scuola Diaz stava avvenendo una "mattanza", mi misi in comunicazione con Alessandro Perugini, vicedirigente della Digos, l'unico che rispondeva al cellulare. Lui
era a Bolzaneto, riuscì a farmi parlare con Spartaco Mortola. Ma non furono comunicazioni sugli arresti e sull'esito della perquisizione».
E di cosa avete parlato?
«Io ero preoccupato per i feriti. Giungevano notizie di ambulanze dirette in tutti gli ospedali della città. Mi avevano informato di un poliziotto accoltellato e io temevo per la sua sorte. Di quello mi interessavo in quei minuti, non dell'operazione di polizia giudiziaria che era sicuramente meno impellente della salute delle persone».
Una curiosità: come mai lei, magistrato di turno, non ritenne di raggiungere personalmente la scuola Diaz per verificare cosa stava succedendo?
«Perché quando la cosa si è palesata nelle sue dimensioni, era ormai tardi. Ho calcolato che avrei impiegato troppo tempo a raggiungere quel posto. Ho così preferito continuare a chiamare e a informarmi sulla sorte dei feriti».
Non si sarebbe potuto muovere più tardi, comunque?
«A blitz concluso, non avrei saputo dove andare».
Altro dettaglio oscuro: il cellulare di servizio del pm di turno non ha ne fatto ne ricevuto telefonate. Ma che fine aveva fatto?
«Io sono un funzionario dello Stato e sono anche attento a non gravare sulle spese dello Stato. C'erano tantissime telefonate da fare e ho responsabilmente deciso di farle con il mio telefonino privato».
E quello di servizio?
«Mah, era lì, da qualche parte, non mi ricordo».
Poi chiamò Perugini...
«Fui io a chiamare, a cercare ripetutamente di mettermi in contatto con qualcuno, perché volevo spiegazioni su quello che stava accadendo e nessuno me le dava».
Però le comunicazioni sono state moltissime».
«Il problema non è il numero delle telefonate intercorse tra me e il dottor Mortola, ma il loro contenuto e la loro sostanza. Nessun poliziotto, sentito in sede di commissione parlamentare, ha mai parlato di contatti rilevanti con il sottoscritto. Non si capisce perché solo ora venga sollevata la questione».
Perché l'indagato, Mortola, è stato anche redarguito in sede di interrogatorio dal suo collega Enrico Zucca, proprio perché aveva parlato di molti contatti...
«Se ho parlato solo di una o due telefonate intercorse tra me e Mortola è perche ho avuto da lui solo la mattina dopo la telefonata esaustiva in cui ho conosciuto l'operazione nei suoi dettagli. Durante la notte le informative erano state scarse e sommarie. E poi c'è un'ulteriore considerazione...».
Quale?
«Non ci sono vie di mezzo. O si crede a quel che dico, o si deve presupporre che io abbia qualche modo collaborato alla stesura dei falsi, che sia la mente occulta del blitz alla Diaz, che abbia cercato di aggiustare un'operazione "storta" della polizia. Questo non cozza solo con la logica, ma con fatti concreti».
Ad esempio?
«Io ero contrario a chiedere la convalida di quei 93 arresti. Lo dissi subito ai miei capi e usai anche espressioni forti. Lo ribadii a due giornalisti incontrati il giorno dopo. Loro riportarono le mie dichiarazioni: tanti arresti per associazione a
delinquere in una circostanza del genere erano quantomeno inusuali».
Cosa avvenne poi?
«L'alllora capo della procura, Francesco Meloni affidò il compito di chiedere la convalida a Francesco Lalla. Mi spiegò che quegli articoli di giornale apparivano come un'anticipazione di giudizio e non poteva lasciarmi quel fascicolo».
Marco Menduni

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