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30.11.07

Secolo XIX G8, la ripicca di due agenti dietro l'inchiesta su De Gennaro


Secolo XIX

G8, la ripicca di due agenti dietro l'inchiesta su De Gennaro
le intercettazioni
Genova. Dalla vendetta di due poliziotti, che avevano litigato per il
turno domenicale, è nata l'inchiesta che ha travolto l'ex capo della
polizia Gianni De Gennaro. I due avevano denunciato un collega, dopo aver
trovato in un deposito materiale esplosivo che ufficialmente doveva essere
distrutto. Intercettato, un artificiere dice: «Hanno fatto casino come per
le molotov della Diaz, le hanno portate vie e distrutte». Sospettando un
ruolo dell'ex capo della digos Spartaco Mortola i pm mettono sotto
controllo il telefono. Sul quale arrivano le chiamate dell'ex questore
Francesco Colucci, che sostiene di aver modificato la sua testimonianza
sul blitz Diaz secondo le indicazioni di De Gennaro.

L'ex capo: ho soltanto consolato Colucci
i verbali
«Certo che ho commentato quel che succedeva nei processi, ma sempre al fine
di raggiungere la verità»
30/11/2007
GENOVA. Francesco Colucci, che non ricorda cosa accadde a Genova il 20
luglio 2001 (morte di Carlo Giuliani) mentre lui era questore del
capoluogo ligure, è definito dall'ex capo della polizia Gianni De Gennaro
«uno dei nove maggiori dirigenti della pubblica sicurezza italiana. E per
questo avevamo contatti frequenti». La dichiarazione è contenuta nel
verbale dell'interrogatorio cui De Gennaro fu sottoposto il 14 luglio
scorso, del quale riportiamo gli stralci più significativi.
«Nego - dice davanti ai magistrati - di aver fatto ringraziamenti a
Colucci per di più a causa di una sua supposta modifica delle
dichiarazioni da me istigata. Posso avere espresso un generale
compiacimento verso una ricostruzione dei fatti improntata a verità o
usato frasi un po' forti per tirarlo su di morale. Ricordo che una volta
mi disse di voler allargare il collegio difensivo affiancando al già
capace Maurizio Mascia di Genova il professor Coppi di Roma». I pm entrano
nel dettaglio e gli spiegano i punti contestati a Colucci che lo
coinvolgono. L'ex questore, secondo l'accusa, aveva ricevuto «copia della
testimonianza resa da De Gennaro in precedenti interrogatori avvenuti a
Roma» e aveva «inteso sulla base di queste il vero punto di contrasto con
le sue dichiarazioni». Colucci inoltre, sempre secondo l' accusa, aveva
ricevuto l'invito a rivedere su tal punto il proprio resoconto e ciò al
fine di aiutare i colleghi imputati a Genova. «Un piano per mandare a
monte il processo», secondo la procura. De Gennaro replica: «Ribadisco che
non ho dato alcuna copia di dichiarazioni, ne ho solo parlato con Colucci
anche se non ho fornito alcun suggerimento a tal fine indicato». «Quanto
al secondo gruppo di telefonate - aggiunge - è possibile che avendo avuto
contatti e incontri successivi con Colucci possa effettivamente aver fatto
con lui qualche commento sulla sua deposizione».
Sul punto invece che riguarda l'iniziativa di inviare l'addetto stampa del
ministero Roberto Sgalla nella scuola Diaz, la sera dell' irruzione, De
Gennaro spiega: «Non avevo motivo alcuno di dire "chiama la stampa", tanto
più alla luce delle perplessità che poi espressi». Prova infine a chiarire
i frequenti contatti con Giovanni Luperi, all'epoca del G8 capo
dell'antiterrorismo, recentemente promosso nei servizi segreti e
soprattutto primo imputato per il sanguinoso blitz alla Diaz: «Aveva
incarichi operativi delicatissimi, è naturale che lo sentissi con
frequenza, magari tre volte al giorno». Ieri, intanto, sempre nel processo
Diaz è stata interrogata Patrizia Bonalumi, nel luglio 2001 addetta stampa
della questura di Genova, la funzionaria che lesse davanti a decine di
giornalisti e operatori tv il brevissimo comunicato sull'irruzione: «Me lo
diede il prefetto Ansoino Andreassi (allora vicecapo della polizia, autore
in seguito di chiarazioni clamorose sugli abusi compiuti dagli agenti) e
mi disse che non ci sarebbe stato spazio per domande».

«Le molotov? Ok, fatte sparire»
G8, le intercettazioni
Dalla ripicca di due agenti per un turno festivo è partita l'inchiesta che
tocca De Gennaro
GENOVA. «Le molotov sospette? Le hanno fatte sparire, portate via». Lo
dice uno dei poliziotti che doveva custodirle. E nell'intreccio delle
intercettazioni telefoniche che hanno messo nei guai l'ex capo della
polizia Gianni De Gennaro, accusato d'aver istigato l'ex questore di
Genova Francesco Colucci a mentire sul blitz alla Diaz, spunta la
telefonata che più di altre allunga ombre sul comportamento degli agenti
nel corso delle inchieste G8. Una conversazione che dimostra, secondo la
procura, non solo che le bottiglie incendiarie furono introdotte
nell'edificio dalle forze dell'ordine e non dai noglobal. Ma soprattutto
che la loro scomparsa, clamorosa, registrata nel gennaio scorso e capace
di mettere a rischio le udienze agli imputati dei pestaggi nella scuola, è
stata frutto d'una consapevole sottrazione alla custodia degli
artificieri, e del trasporto in un luogo «particolare» affinché fossero
distrutte.
giochi esplosivi. Il telefono sotto controllo, il primo tassello d'un
domino che coinvolgerà, oltre a De Gennaro, persino l'attuale capo della
polizia Antonio Manganelli, è quello di Marcellino M., un artificiere in
servizio presso il nucleo regionale "Liguria". La sua è un'utenza
«marginale», fatta ascoltare dal sostituto procuratore Vittorio Ranieri
Miniati per far luce su un'altra vicenda: la denuncia di un collega
accusato di aver dichiarato ai superiori lo smaltimento di residuati
bellici, che in realtà nono sono mai stati distrutti e furono ritrovati
successivamente in un armadietto. Una storia di per sé inquietante, poiché
secondo l'indagato l'accusa nei suoi confronti è stata mossa da altri due
artificieri solo per vendetta, dopo una "sgradita" compilazione dei turni
domenicali. Fatto sta che Marcellino M., estraneo al primo giallo, ma
facente parte dell'ufficio dove avvengono ripicche e si materializzano
bombe che dovevano essere distrutte, parlando con un amico si tradisce e
fa capire «senza ombra di dubbio» che la scomparsa delle molotov è dolosa.
Non solo: nella chiamata su cui si concentra l'attenzione dei pm, fornisce
elementi «inequivocabili» che confermerebbero come ad appropriarsene sia
stato un altro poliziotto, e come la distruzione del materiale sia
avvenuta in un luogo diverso da quello in cui erano conservate. Ecco
perché viene aperto un fascicolo d'inchiesta che contempla le ipotesi di
«peculato» (ovvero l'appropriazione di un bene nella disponibilità della
pubblica amministrazione compiuta da un incaricato di pubblico servizio) e
il «porto abusivo di armi da guerra», poiché le molotov vengono
trasportate da un'altra parte. Non è stato Marcellino M. ma, insistono i
pubblici ministeri, qualche collega che evidentemente conosce e di cui non
vuole rivelare il nome. Gliene chiedono conto nel corso di un
delicatissimo interrogatorio in procura (il verbale è stato visionato dal
Secolo XIX), durante il quale i magistrati lo incalzano più volte con
frasi del tipo «si sta mettendo nei guai per gli altri», «non difenda a
tutti i costi i suoi superiori», «ma lei vuole proprio pagare gratis».
Marcellino M. non parla ed è indagato per falsa testimonianza.
REGISTRI MANCANTI. Le lacune da colmare restano profonde. Le molotov sono
state forse distrutte al posto di altro materiale esplosivo, che non
dovrebbe più esistere e invece non è stato smaltito? E ancora: chi ne ha
curato gli spostamenti e il deposito nei quasi sei anni che hanno separato
il G8 e l'ultimo scandalo? L'indagine amministrativa, subito aperta dai
vertici della pubblica sicurezza per far luce sulla clamorosa defaillance,
è affidata al ispettore interregionale Giuseppe Maddalena, da molti
chiamato confidenzialmente «Beppe» nelle intercettazioni. Lo stesso, in un
verbale di «sommarie informazioni» anch'esso visionato dal nostro
giornale, dichiara di propendere per un «caso fortuito» e di non sapere
bene chi nel tempo si è potuto materialmente avvicinare agli ordigni. I pm
lo incalzano: «Ma come, il 99% delle operazioni degli artificieri è
registrata con assoluto scrupolo in ogni passaggio, mentre dell'1%
rappresentato dalle molotov non si sa quasi nulla, non c'è una traccia
cartacea?». Maddalena tentenna, e alla domanda su chi era incaricato di
consegnare le bottiglie agli artificieri fa il nome di Spartaco Mortola,
ai tempi del G8 capo della Digos di Genova e indagato insieme a Colucci e
De Gennaro per le false testimonianze sul blitz.
FALSE TESTIMONIANZE. Ecco allora che la procura decide d'intercettare
Mortola, il quale a sua volta è continuamente contattato dall'ex questore
del capoluogo ligure Colucci, agitatissimo poiché il 3 maggio scorso
dev'essere interrogato sulla Diaz: «Il capo mi ha dato le sue
dichiarazioni, devo uniformare la mia versione alla sua e mi ha detto di
fare marcia indietro su certe cose». Il mosaico è sempre più grande e
coinvolge ormai i big della polizia, tanto che negli ultimi giorni a
Colucci, Mortola e De Gennaro è stato notificato l'avviso di conclusione
delle indagine, con ogni probabilità preludio d'una richiesta di rinvio a
giudizio. «Dopo aver letto i verbali - spiegano ora gli avvocati
Piergiovanni Iunca e Alessandro Gazzolo - si fa davvero fatica a capire
quale sia il suo ruolo di istigatore, di suggeritore. Di fronte al
profluvio di parole di Colucci, resta quasi sempre in silenzio e gli
ricorda solo cose già conosciute, già agli atti». Nelle intercettazioni
compaiono spesso le testate giornalistiche e i loro articoli. In un
colloquio si parla anche del Secolo XIX. Mortola dialoga con un altro
poliziotto: «Hai visto il Secolo? Gliel'hai dato tu quel filmato?». «Io
no!». «E allora chi c... gliel'ha dato? È il nostro filmato, ho
riconosciuto le nostre scritte». «Io no e non riesco a capire chi». «Mah,
mistero».
matteo indice
marco menduni

L'ex questore: cos'è successo al G8?
i colloqui
Genova. Probabilmente, tutti sanno cos'è accaduto il 20 luglio 2001 a
Genova: la morte di Carlo Giuliani. Tutti, tranne l'ex questore della
città, intercettato il 20 aprile scorso alle 13,27 mentre parla con
Spartaco Mortola. Colucci, definito da Gianni De Gennaro «uno dei nove
maggiori dirigenti della polizia italiana». Ecco gli stralci.
Colucci: qualche arresto sporadico c'è stato, no?
Mortola: Come arresti? Ne abbiamo arrestati 300.
Colucci: Alla Diaz quanti?
Mortola: 93, e prima 209.
Colucci: Ma dove li abbiamo arrestati?
Mortola: Dappertutto, sia il 20 luglio, sia il 21.
Colucci: Ma il 20 luglio perché?
Mortola:(parla masticando) E perché il 20 luglio c'erano giò stati degli
incidenti, no?
Colucci: Eh, ma quali incidenti c'erano stati il 20 luglio?
Altro passo.Si ricostruiscono le fasi del blitz alla Diaz.
Colucci: L'aggressione... a che ora è venuto Bernardini? Chi è... chi è,
Bernardini?
Mortola: Di Bernardini.
Colucci: Ma in ufficio da me chi venne però? Anche Gilberti (si riferisce
probabilmente a Gilberto Caldarozzi, ndr) venne?
Mortola: Come?
Colucci: Nell'ufficio mio chi venne?
Mortola: Quando fui chiamato c'erano Gratteri, Di Bernardini e Caldarozzi.
Colucci: C'era una relazione?
Mortola: E cavoli sì che c'era.
Colucci: Nella relazione si evidenzia questo?
Mortola: Ma sono atti già acquisiti
Colucci: Che c'era stato qualche ferito chi l'aveva detto? Boh, che cazzo
ne so.

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