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08.07.07

secolo xix Le "due polizie" del G8 si sveleranno al processo

Secolo XIX

Le "due polizie" del G8 si sveleranno al processo
attese dichiarazioni spontanee
Nelle prossime udienze
per il blitz alla Diaz
alcuni dirigenti e agenti chiariranno la divisione
tra "falchi" e "dialoganti"
08/07/2007
marco menduni
Genova. Le "due polizie" alla resa dei conti. Nelle prossime udienze del
processo per il blitz nella scuola Diaz alcuni dirigenti e agenti sono
pronti a rendere "dichiarazioni spontanee" per chiarire quel che il Secolo
XIX ha anticipato nell'edizione di ieri. Due polizie hanno agito a Genova
nei giorni del G8. Due gruppi di potere contrapposti si sono scontrati
sulle strade e nel drammatico epilogo alla Diaz. Un'ala dialogante. E un
nucleo di falchi, di duri, tardi epigoni di una polizia che sta
scomparendo ma che negli scorsi decenni non ha lesinato l'utilizzo di
metodi disinvolti (per usare un eufemismo) nell'affrontare le emergenze.
Ma la storia di quei due giorni va rivista, ancora una volta dall'inizio.
Dall'accordo raggiunto tra l'ala non violenta (pur radicale) della
contestazione e la polizia stessa. La mediazione fu condotta da un
funzionario genovese e da Lorenzo Murgolo, dirigente della questura di
Bologna e da sempre considerato "punto di riferimento" dell'area noglobal.
I patti erano chiari. E oggi una fonte è in grado di confermarli al Secolo
XIX: «Quando Casarini fece la famosa dichiarazione di guerra, annunciando
"violeremo la zona rossa", sapeva quel che diceva».
Nelle ore precedenti era stato, infatti, raggiunto un accordo. Ai
Disobbedienti (allora si chiamavano Tute Bianche) sarebbe stato concesso
di violare simbolicamente la prima grata di protezione della zona rossa,
all'inizio di via Venti Settembre. Per questo motivo una seconda grata era
stata sistemata in fretta e furia a metà della strada, sotto il Ponte
Monumentale. Lo confermò anche l'allora questore di Genova Francesco
Colucci davanti al comitato parlamentare di indagine sui fatti del G8,
parlando di «una sceneggiata». Lo negò, va registrato, il leader del
movimento Luca Casarini, che raccontò solo di come il corteo fosse stato
regolarmente autorizzato.
Già dal giorno precedente al 20 luglio, data della tragica morte di Carlo
Giuliani, spirava però brutta aria. Perché, alla spaccatura interna alla
polizia, faceva da contraltare una contrapposizione violenta tra le fila
degli antiglobalizzatori. C'è una fazione, il Sud Ribelle, che vuole
scalzare Casarini dal ruolo di portavoce del movimento. Che non approva la
sua linea di "accordi" con la polizia.
Il Sud Ribelle stringe un'alleanza con i black bloc per scatenare
incidenti e mettere Casarini alle corde. La voce arriva alle Tute Bianche.
Un alto funzionario della questura rivelò al Secolo XIX: «Fu proprio
Casarini a chiamarci e a dirci: quelli non li teniamo, non possiamo
garantire per loro». Casarini ha sempre smentito questa circostanza, con
toni sdegnati. Il funzionario fu interrogato dalla procura, dall'allora
procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino, oggi in pensione. Di
quell'interrogatorio non si è più saputo nulla. Dopo la segnalazione (che
una fonte continua a riferire alle Tute Bianche) nel giro di una notte la
città si riempie di container, a difesa della zona rossa. Tutto va
purtroppo come previsto. Ricordiamo: le devastazioni dei black bloc
presero il via dai primi incidenti delle 10 della mattina in corso Buenos
Aires, scatenati (lo dimostrano le carte di un altro processo in corso)
non da fantomatiche tute nere straniere, ma proprio da estremisti italiani.
La prima prova dell'esistenza di "due polizie" va in scena nella carica in
via Tolemaide, dalla quale discenderà la tragedia Giuliani. I noglobal
avevano stretto un accordo così vincolante con la polizia che addirittura
alcuni di loro tenevano le radio di servizio delle forze dell'ordine. «Ma
all'improvviso le radio tacquero, fu impossibile parlare con chiunque e
partirono le cariche». Segno di un improvviso cambiamento di rotta nella
stanza dei bottoni.
Alcune di queste circostanze furono già narrate, il 16 gennaio 2003, dal
Secolo XIX. La sera stessa il cronista fu avvicinato, all'uscita del
giornale, da alcuni amici delle Tute Bianche: «Ma dove vuoi arrivare?
Lascia perdere questa storia», gli fu detto. La sera successiva fu
raggiunto da due amici della polizia: «Lascia perdere questa storia,
quella degli accordi: è scomoda per tutti». Sicuramente è così.
Arriva la sera della Diaz. Da Roma è ripiombato a Genova il prefetto
Arnaldo La Barbera e il vicecapo della polizia, Ansoino Andreassi, leader
dell'ala dialogante confessò di essersi sentito «esautorato». La polizia è
sotto attacco per le scorribande dei black bloc. Si formano dei
pattuglioni, ma le tute nere hanno ormai dismesso le loro divise da
battaglia. Vengono avvistate intorno alla scuola Diaz. Lo conferma il
sopralluogo (con moto e casco integrale) di Spartaco Mortola, numero uno
della digos di Genova. Le numerose telefonate giunte al 113 dagli abitanti
della zona. C'è poi un'intercettazione poco conosciuta. Proviene dal
processo della procura di Cosenza agli esponenti del Sud Ribelle, che
porta con sé numerosi atti degli eventi di Genova. Parlano due persone,
una all'interno, una all'esterno della Diaz. La prima dice alla seconda
che ci sono i black bloc alla porta e vogliono entrare. Altra telefonata:
le tute nere insistono o «spaccano tutto». La persona all'esterno dà l'ok:
fateli entrare, ma non vogliamo casini. Il cancello e il portone vengono
chiusi e barricati.
Da quel momento la scena si suddivide tra le "due polizie". Ad assistere
al blitz viene addirittura convocata la stampa. Non si può ragionevolmente
pensare che, nella scala gerarchica ufficiale, qualcuno abbia convocato i
media per farli assistere a un massacro.
Ma da quel momento qualcun altro ha il gioco in mano. Chi verrà, nelle
prossime udienze, accusato dai colleghi. Chi ruota intorno al reparto
mobile di Roma e in particolare il "settimo nucleo". Diretto da
Michelangelo Fournier. La sua testimonianza al processo è stata ricca di
emozionalità. La «macelleria messicana», la confessione: «Non ho parlato
per sei anni per spirito di corpo». Ma se liberiamo il campo delle
suggestioni, cos'ha detto Fournier? Che a picchiare sono stati «due agenti
con la pettorina e due con il cinturone bianco». Fantasmi. E non
appartenenti al settimo nucleo da lui diretto, che aveva il cinturone nero.
Ricordiamo: Fournier, il dirigente del reparto mobile Vincenzo Canterini e
i capisquadra sono gli unici, tra gli imputati, rimasti indagati per
lesioni. Ma Fournier ha detto: sono stati altri. Non so chi, ma non noi.
Intanto però (e nessuno l'ha chiesto) il settimo nucleo ha riportato
quella sera, secondo i referti, 17 feriti. Intorno al reparto mobile ruota
Pietro Troiani, che portò alla Diaz le famose molotov "taroccate".
Uno sbaglio? L'ultima analisi del Ris conferma: Troiani "girò"
appositamente i gradi per nasconderli, quella sera. E un vicequestore
senza gradi è uguale a un agente della celere. Massimo Nucera, l'agente
accoltellato, fa parte del reparto mobile. Era quella l'"altra polizia"?
Qualcuno lo affermerà presto.
marco menduni

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