Home Page

15.07.07

Secolo XIX «Mai indottoqualcunoa dire il falso»

Secolo XIX

«Mai indottoqualcunoa dire il falso»
L'ex capo della polizia interrogato più di tre ore per capire come fu
decisa l'irruzione alla scuola Diaz

«Intendo rispondere a tutte le vostre domande e chiarire ogni dubbio. Non
intendo avvalermi della facoltà di non rispondere», ha esordito De
Gennaro, tono sicuro, senza tentennamenti. L'ex capo della polizia - oggi
capo di Gabinetto del ministro dell'Interno Giuliano Amato - in quanto
indagato poteva rifiutarsi di fornire la sua versione dei fatti ai
pubblici ministeri genovesi. Ma De Gennaro, assistito dai suoi avvocati
Franco Coppi e Carlo Biondi, ha scelto un'altra strategia. Ha risposto
alle contestazioni. E ha negato ogni responsabilità.
Nella stanza al quinto piano di palazzo di Giustizia (la camera di
consiglio della corte d'Assise, unica aula raggiungibile dall'ascensore
del garage) si è trovato di fronte il procuratore aggiunto Mario Morisani
e i sostituti Francesco Cardona Albini, Patrizia Petruzziello ed Enrico
Zucca che seguono tre rami dell'inchiesta.
«Se non ho potuto presentarmi in precedenza è stato per impegni
improrogabili legati al mio lavoro», spiega subito De Gennaro. Quindi i
magistrati cominciano con le contestazioni. L'accusa ha deciso di non far
ascoltare i nastri registrati con le intercettazioni telefoniche (una in
particolare relativa a una conversazione dell'ex questore Colucci). No, ha
preferito mostrare all'ex numero uno della polizia le trascrizioni. Ma lui
quasi non le guarda. Decide di rispondere direttamente alle domande che, a
cerchi concentrici, si avvicinano al nodo della questione. A quelle frasi
che, secondo l'accusa, chiamerebbero in causa De Gennaro.
Ecco allora il passaggio chiave con i pm che chiedono all'indagato se
abbia incontrato Colucci dopo i fatti di Genova. Risponde De Gennaro:
«Certo, abbiamo occasione di vederci per lavoro. Facciamo entrambi parte
della "Commissione per l'Avanzamento", siamo seduti uno vicino all'altro».
In queste occasioni avete parlato del G8? «Sì, anche». Ma, sostiene De
Gennaro, in termini assolutamente generali. E sulla deposizione al
processo di Genova? «Ne abbiamo parlato - ammette senza tentennamenti l'ex
responsabile della Polizia - ma semplicemente per sapere quando era
fissata», come e quando Colucci sarebbe andato. «Nient'altro», ripete più
volte De Gennaro. I magistrati ascoltano. L'avvocato Coppi a un certo
punto si lascia sfuggire un'espressione di sorpresa leggendo la
trascrizione delle intercettazioni. Secondo lui, quelle frasi confuse,
intersecate da tentennamenti e turpiloquio, non giustificavano un'accusa
tanto pesante. Il colloquio «è serrato, mai però teso. Anzi», assicura uno
dei presenti.
Poi il discorso si sposta sulle telefonate di quella notte. La
triangolazione tra De Gennaro, Colucci e il responsabile delle relazioni
esterne Roberto Sgalla, rimane, per Coppi, «il solo punto di divergenza»
con la procura.
Ricordiamo. Colucci, in un primo interrogatorio, disse di aver chiamato
Sgalla prima del blitz della Diaz «perché avvisasse i giornalisti». Spiegò
anche che quell'ordine gli era giunto da de Gennaro in persona. Davanti ai
giudici, lo scorso 3 maggio, ha però cambiato versione: «Forse ricordo
male, chiamai Sgalla, ma fu solo una mia iniziativa». Per la Procura non è
un dettaglio da poco. Perché la prima versione avrebbe confermato che il
capo della polizia era perfettamente al corrente delle modalità dell'ormai
imminente blitz. Ieri De Gennaro non ha negato di aver parlato con Colucci
quella sera. Ma non per impartire direttive. E men che mai per
sollecitarlo a parlare con Sgalla. «Lo chiamai solo - spiega De Gennaro -
per chiedergli se fosse certo dell'opportunità di una perquisizione,
perché come perquisizione mi era stata presentata, in quella scuola. Lui
era il questore di Genova, lui era sul campo, lui aveva il polso della
situazione. Gli chiesi solo se era convinto di eseguire quella
perquisizione». Il colloquio si conclude. I magistrati adesso dovranno
decidere se chiedere il rinvio a giudizio, ma la ricostruzione fornita li
avrebbe convinti (quasi tutti).
E Sgalla? Raggiunto dal Secolo XIX, conferma quel che ha già detto ai
magistrati. «Io so che quella sera parlai solo con Colucci. Mi chiamò una
prima volta, mentre stavo uscendo dalla questura per andare a mangiare una
pizza, per preavvertirmi: tieni il cellulare acceso, potrei aver bisogno
di te». Poi una seconda: «Facciamo un'operazione, ti mando una macchina,
avvisa i giornalisti». Sgalla, davanti ai magistrati, non ha del tutto
azzeccato i tempi di quelle comunicazioni. Ma, come lui stesso spiega,
«quelle erano giornate infinite, era facile perdere il senso del tempo».
Marco Menduni
Ferruccio Sansa

.
.