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15.07.08

Secolo xix Verdetto mite, ma lo Stato riafferma il suo primato

Secolo xix

Verdetto mite, ma lo Stato riafferma il suo primato
roberto onofrio
Sono soprattutto due i luoghi che hanno segnato gli sciagurati giorni del
G8 di Genova, trasformandoli in una rappresentazione folle e infernale di
violenza gratuita: la Diaz e la caserma di Bolzaneto.
La giustizia, dopo sette anni difficili, complessi e delicati come può
essere un'inchiesta che mette sul banco degli imputati generali, ufficiali
di polizia e carabinieri, militari, agenti carcerari, medici, ha emesso
ieri la sua prima, a suo modo storica, sentenza: quella che si riferisce
alla "mattanza" denunciata da decine di manifestanti, arrestati durante i
cortei e finiti nelle celle, nei bagni e nei cameroni della caserma di
Bolzaneto. Erano 45, in tutto, gli imputati individuati dall'accusa come
protagonisti degli abusi raccontati e testimoniati da decine di no global,
ascoltati durante il processo. Ne sono stati condannati, alla fine,
soltanto 15, complessivamente per 24 anni di carcere. È stata riconosciuta
la violenza, l'abuso d'autorità, la violazione dei diritti e delle libertà
fondamentali dell'uomo. Ma non la tortura che, non contemplata dal codice
penale italiano, era stata individuata come variante dell'abuso d'ufficio.
È solo il primo grado di giudizio e qualunque ulteriore sentenza avrà
soltanto un valore virtuale, simbolico. Dal prossimo gennaio, gli
agghiaccianti, comunque vergognosi reati commessi nel tetro edificio di
Bolzaneto (violenza privata, abuso d'autorità, violazione dell'ordinamento
penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, falso) finiranno tutti in
prescrizione. Nessuno dei condannati, dunque, sconterà mai un giorno di
pena.
È un'ingiustizia profonda e grave, non solo per chi quelle violenze le ha
subìte e ne porterà addosso le cicatrici, fisiche e psicologiche, per
tutta la vita. È l'ennesimo schiaffo a chi vorrebbe vivere in un Paese
normale, in cui chi sbaglia, alla fine, paga davvero. Ed è forse anche una
mezza delusione per quanti avrebbero voluto che tutti gli imputati alla
sbarra fossero alla fine condannati e che fosse riconosciuta in qualche
modo, anche se con un artificio giudiziario, la tortura.
Ma queste considerazioni non devono far perdere di vista il fatto che
esiste anche un senso ulteriore nella sentenza di ieri, ugualmente
importante, cruciale e ineludibile. La condanna di 15 imputati su 45
dimostra, nonostante le mille contraddizioni e i fatali ostacoli che il
sistema giudiziario ha dovuto superare indagando chi di solito lavora a
stretto contatto di gomito con la magistratura, che in Italia esiste una
giustizia sana, determinata e capace di emettere una sentenza forse più
mite di quanto ci si potesse aspettare, ma politicamente scomoda, in ogni
caso, anche se poi di fatto resterà inapplicata.
Nei giorni assurdi, per molti aspetti ancora misteriosi del G8, Genova,
l'Italia e il mondo hanno assistito sicuramente a uno scontro folle e
sanguinario tra manifestanti e forze dell'ordine per le vie della città.
Hanno visto gli eccessi, le provocazioni, le violenze immotivate e brutali
dei black bloc che hanno incendiato e ferito Genova, le sue auto, le sue
vetrine, il suo decoro ma anche la sua stessa dignità in modo viscerale,
permanente, indelebile. Hanno seguito la risposta disordinata, ondivaga,
feroce delle forze dell'ordine, culminata con la morte di Carlo Giuliani.
Ma, al di là di tutto, hanno dovuto con sgomento registrare che per due
volte, in luoghi diversi e per cause scatenanti ancora molto oscure, si è
verificato un cortocircuito inquietante. Nella scuola Diaz (dove si
attende per il momento il giudizio finale) e nella caserma di Bolzaneto lo
Stato è di colpo, momentaneamente, svanito. È come se quei due luoghi - e
a Bolzaneto, adesso, c'è una sentenza del tribunale a certificarlo -
fossero finiti all'improvviso in una bolla di assoluta impunità, di totale
deregulation, addirittura di farneticante inversione dei ruoli
tradizionali. I tutori dell'ordine, gli uomini con la divisa, quelli che
dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini si sono trasformati in
spietati aguzzini, indecenti torturatori, squallidi "nonnisti" da caserma.
Questo lungo, interminabile incubo vissuto da chi è stato portato a
Bolzaneto, in quei giorni di luglio, oggi è stato giudicato e infine
condannato. Le regole più elementari del diritto che erano state così
inopinatamente violate sono state ristabilite. Lo Stato che si è fatto
scavalcare in maniera tanto maldestra da un raptus collettivo di follia da
parte di chi, solitamente, è il suo più fedele servitore, ha ripreso il
controllo della situazione e ha saputo emettere il suo giudizio,
distinguendo colpe, responsabilità e relative pene.
Era già avvenuto nel momento in cui i magistrati e i giudici del tribunale
di Genova, esattamente sette mesi fa, il 14 dicembre scorso, hanno dovuto
valutare i 25 no global, protagonisti dei raid che hanno devastato la
città nel luglio del 2001. Non era semplice neppure in quel caso decidere.
Nessuna sentenza sarà mai semplice, in una vicenda che ha dilaniato la
politica italiana e che resterà ancora per molto tempo controversa,
contraddittoria e poco chiara in troppi suoi aspetti. Ma non è poco che
una sentenza, su fatti di questo genere, alla fine, arrivi

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